Archivio per la categoria 'Senza categoria'
Le idee sull’uomo e la loro influenza sulla vita
Pubblicato da redazione
Di Mario Mulè
Possiamo iniziare la riflessione sulla tematica proposta riportando un pensiero di D. Siegel: “Nel 1992 organizzai presso la UCLA un gruppo di ricerca interdipartimentale per studiare le connessioni tra la mente ed il cervello”…( Presto però mi accorsi) “che non c’era una visione condivisa della mente e nessun vocabolario condiviso per discuterne”.
Alla fine il gruppo interdisciplinare arrivò a condividere una definizione che era “ un necessario punto di partenza dal quale iniziare la nostra esplorazione insieme”.
Ritengo che un problema simile siano chiamati ad affrontarlo quanti si propongano di agire per l’uomo e per la vita.
Per restare nel mio ambito disciplinare, ritengo che se arriva nella nostra stanza chiedendo un aiuto una persona depressa, sia più corretto considerare che abbiamo di fronte un uomo depresso, piuttosto che semplificare la situazione clinica trattando una entità (?) che è stata denominata depressione. Ma se vogliamo veramente incontrare un uomo, non è forse necessario avere un’idea di chi sia l’uomo?
Disponiamo forse di una definizione condivisa?
Una definizione di uomo non la troviamo certo nella letteratura psichiatrica.
Attualmente è quasi un obbligo nel lavoro clinico fare riferimento al DSM-5, un manuale che descrive in modo dettagliato i sintomi di ogni disturbo ed altri aspetti ritenuti utili ed oggettivabili senza porsi altre domande.
Non trovando alcuna definizione di uomo nella letteratura psichiatrica a mia disposizione, ho pensato che potevo cercare la definizione che cercavo nel vocabolario della lingua italiana della Treccani: “ Uomo, essere cosciente e responsabile dei propri atti…”
Se essere “ coscienti e responsabili” è un requisito necessario per definire l’uomo, quanti soggetti dobbiamo escludere? Tutti gli uomini sono coscienti e responsabili? E chi non ha queste qualità non è un uomo?
Secondo Siegel tuttavia non possiamo rinunciare a questo punto di partenza necessario per potere procedere oltre.
E anche se non disponiamo di una definizione, possiamo utilizzare una descrizione delle sue qualità essenziali come punto di partenza.
E vedere se le diverse idee sull’uomo ci portano verso modi diversi di vivere e di agire in questo mondo.
Possiamo trovare un primo esempio nel libro di Augusto Cavadi “ Mosaici di saggezze” laddove riporta il pensiero di Edgard Morin: “ L’essere umano è un essere ragionevole e irragionevole, capace di misura e dismisura; soggetto di una affettività intensa e instabile, sorride, ride, piange, ma sa anche conoscere oggettivamente; è un essere serio e calcolatore, ma anche ansioso, angosciato, gaudente, ebbro, estatico; è un essere di violenza e di tenerezza, di amore e di odio; è un essere pervaso dall’immaginario e che può riconoscere il reale; è un essere che conosce la morte e non può credervi, che secerne il mito e la magia, ma anche la scienza e la filosofia; è posseduto dagli Dei e dalle idee, ma dubita degli Dei e critica le idee; si nutre di conoscenze verificate, ma anche di illusioni e chimere.(2)
Questa è l’idea di Edgard Morin sull’uomo.
Possiamo ora considerare un altro punto di vista e studiare quale idea dell’uomo avesse C. Rogers ( frutto di osservazione e di ricerca in contesti psicoterapeutici sia duali che gruppali).
“Contrariamente a quei terapeuti che vedono la depravazione alla radice dell’uomo, che considerano i più profondi istinti dell’uomo come distruttivi, io ho scoperto che, quando è veramente libero di diventare ciò che egli è sul piano profondo, quando è libero di realizzare la propria natura come organismo umano e quindi capace di consapevolezza, allora egli appare chiaramente muoversi verso la totalità e l’integrazione…” “ allora è degno della massima fiducia”.(3)
Fra le tante descrizioni dell’uomo, è dunque possibile rintracciarne diverse, molto differenti tra di loro.
Ma quali sono le conseguenze di queste differenti visioni? Come agiscono su di noi? Come influiscono sul nostro modo di agire nel mondo?
Per Morin la naturale conseguenza del riconoscimento della complessità è la riforma del pensiero. Prima di ogni altra cosa da fare, prima di agire dobbiamo riconoscere e superare la miopia, la visione settoriale con cui guardiamo alla vita.
Se l’uomo e la sua azione nel mondo hanno il carattere della complessità ( a volte anche della contraddittorietà ) solo un pensiero complesso può consentirci di capire la realtà e di agire a favore della vita.
Anzi, è proprio questa riforma del pensiero la missione più importante dell’intellettuale, ma più in generale è una conquista che nel mondo contemporaneo si è resa necessaria. Dobbiamo riuscire a traghettare da un pensiero settoriale, spesso chiuso in se stesso, ad un pensiero globale, capace di abbracciare la molteplicità del reale.
Può consentirci di riconoscere fra tante altre realtà quella che chiama “ La comunità del destino”, una umanità che va guardata come un insieme unico impegnato nella salvaguardia della vita su questo pianeta, senza negare le differenze e le specificità.
La proposta di Rogers ovviamente è molto differente.
Se infatti, come viene da lui ipotizzato, l’uomo nella sua natura è potenzialmente degno della massima fiducia purchè liberato, allora il compito di chi vuole aiutare un uomo nei più vari contesti ( quindi non solo all’interno di un incontro psicoterapeutico ) è quello di studiare e realizzare le condizioni che rendano possibile la sua liberazione.
E sarebbero tre le condizioni, rivelatesi efficaci nella esperienza psicoterapeutica a suo parere necessarie e sufficienti per avviare e realizzare la liberazione dell’uomo anche in contesti differenti.
Autenticità del facilitatore, accettazione incondizionata dell’altro, accurata empatia sono i tre ingredienti necessari e sufficienti da lui indicati.
Mi sembra che questi due esempi ci facciano vedere come le diverse visioni dell’uomo indichino percorsi e compiti differenti nel nostro rapporto col mondo.
Un’ultima riflessione sembra ancora possibile. Pur essendo visioni molto diverse, a me sembra che abbiano in comune il desiderio e l’impegno di portare un aiuto a questa Umanità, oggi così gravata di incertezze e paure per un futuro che si profila catastrofico per l’intero pianeta e per la stessa specie Homo.
NOTE
- Daniel Siegel: “ Mindsight. La nuova scienza della trasformazione personale”.
Raffaello Cortina Editore 2011
- Augusto Cavadi: “ Mosaici di saggezze” pag 140 Diogene Multimedia 2015
- Carl Rogers: “La terapia centrata sul cliente” Giunti 2019
Rileggendo Rogers
Pubblicato da redazione
di Mario Mulè
Si può guardare lo sviluppo del pensiero psichiatrico degli ultimi 150 anni in tanti modi diversi.
Uno di questi può scegliere di mettere a fuoco quale sorte abbiano avuto alcune proposte originali ed innovative. Si potrà constatare che alcune sono state accolte con interesse ed hanno avuto lunga vita, mentre altre (potenzialmente utili per la clinica) non hanno avuto una sorte altrettanto fortunata. (1)
Può essere toccata la stessa sorte a Carl Rogers? E’ certo che di lui si sono perse le tracce ed anche voluminosi trattati di psichiatria lo ignorano del tutto. (2)
Tuttavia mi sembra che oggi, nel vasto panorama della Psichiatria, sia possibile rintracciare diversi spunti che possono dare qualche sostegno a quanto sostenuto da questo Autore.
L’accoglienza incondizionata del cliente è rimasta una delle condizioni fondamentali per un positivo percorso terapeutico. Rogers non ha mai messo in discussione questa convinzione e l’ha sempre considerata uno dei cardini necessari per una terapia efficace. Una relazione ove sia presente un’accoglienza incondizionata è quella che si realizza (quando tutto evolve per il meglio) nel rapporto di una madre con il suo bambino. E’ un fenomeno naturale, comune a tutti i mammiferi. Conosciamo poco cosa si verifica nell’organismo di una madre in occasione del parto.
Dobbiamo accontentarci di riconoscere l’attivazione di meccanismi detti epigenetici, sia nella madre che nel bambino, di cui conosciamo ancora poco.
Sappiamo però che una relazione in cui siano dominanti le cure, il calore, la protezione del piccolo ha effetti benefici che durano tutta la vita.
Non sempre però vi è una condizione così favorevole: esiste anche una “depressione post partum”, dove domina nella madre la paura del fallimento. Se Rogers avesse scoperto che il bisogno di una relazione amorevole rimane dentro ognuno di noi per tutta la vita? Se questo bisogno di cure amorevoli persiste in ognuno di noi e ci porta a cercarlo, ora con fiducia, ora con paura e preoccupazione?
Se fosse una delle caratteristiche presenti nella natura dell’uomo, ed anche la base della compassione come ipotizzano i buddisti? (3)
E’ ragionevole porsi una tale domanda, ma non è possibile fornire una risposta sicura.
Possiamo però constatare che l’esistenza di questo desiderio, (di questo “bisogno”) è stato riconosciuto come un aspetto fondamentale dell’uomo dalle principali tradizioni spirituali. Possiamo considerarlo come una delle forze fondamentali (non certo l’unica) che muovono l’uomo in questo mondo.
L’accettazione incondizionata del cliente è dunque per Rogers un aspetto fondamentale del trattamento terapeutico. Credo che la stessa idea sia presente nella teoria polivagale, dove si è arrivati a dire che la sicurezza percepita dal cliente è la terapia. (4)
Porges è riuscito a scoprire attraverso quali strutture cerebrali e quali circuiti ciò può avvenire, indicando anche i fenomeni fisiologici (mediati dal sistema nervoso neurovegetativo) che si verificano quando ci troviamo in una condizione sicura nel rapporto con l’altro.
La teoria polivagale può anche fare chiarezza di un altro fattore che Rogers considerava indispensabile, e cioè l’autenticità del terapeuta.
Secondo la teoria polivagale l’autenticità è sentita dal cliente a prescindere dalle parole, attraverso la decodifica (inconsapevole ma affidabile) di sottili informazioni che arrivano attraverso la postura, la mimica, il tono di voce ed altri segnali presenti nell’incontro.
Rogers nei suoi scritti riporta alcuni “casi clinici” provenienti dalla sua attività terapeutica. E’ ragionevole utilizzare anche quei “casi” contenuti nella letteratura, che possono dare sostegno alle tesi di Rogers?
A. Manzoni e V. Hugo sono due Autori che ci raccontano una trasformazione “miracolosa” di due persone che avviene nell’incontro con persone luminose e piene di amore per il prossimo. C’è anche il racconto della crisi: Manzoni ci racconta la notte dell’Innominato, che arriva all’orlo del suicidio. Hugo ci dice di Jean Valjean che riuscì a “guardare la sua vita e gli parve orribile”.
Poi arriva il pentimento ed il pianto: “Per quante ore pianse così! Che cosa fece dopo avere pianto? Dove andò? Nessuno lo seppe mai; pare soltanto confermato che in quella medesima notte un vetturale…verso le tre del mattino vedesse attraverso la via de Vescovado un individuo in atteggiamento di preghiera, inginocchiato sul lastrico, nel buio, dinanzi alla porta di Monsignor Bienvenu.”(5)(6)
Ma anche Pirandello ha qualcosa da dire: “Pupi siamo, caro don Fifì!… Perché ogni pupo, signora mia, vuole portato il suo rispetto, non tanto per quello che dentro di sé si crede, quanto per la parte che deve rappresentare fuori. A quattr’occhi non è contento nessuno della sua parte: ognuno ponendosi davanti al proprio pupo, gli tirerebbe magari uno sputo in faccia. Ma dagli altri, no; dagli altri lo vuole rispettato.”
Rogers riconosce che ognuno di noi è stato costretto a confezionare un pupo, obbedendo alle richieste sociali, ma è determinato, con tutte le sue forze, a non esprimere alcun disprezzo, alcun giudizio. Anzi aspetta con tutto il calore e la simpatia di cui è capace che questa crosta si sciolga; perché è convinto che sotto il guscio (“il pupo”) si possa trovare l’uomo liberato, capace di vivere e di amare gli altri e il mondo e finalmente vivo e gioioso come Liolà. (7)
Dopo queste incursioni in campo letterario, ritorniamo sul terreno della Psichiatria e proviamo a rintracciare altre posizioni affini a quella di Rogers.
Malgrado la distanza (esplicitamente dichiarata) tra la Psicoanalisi e la Terapia centrata sul cliente, è possibile ritrovare, nel variegato mondo psicoanalitico, spunti che ricordano le intuizioni di Rogers. Mi sembra infatti che si possa intravedere una singolare vicinanza con la tesi di Franz Alexander, che dava un valore prioritario nel trattamento terapeutico alla “esperienza emozionale correttiva”, indicando un processo simile a quello che può avvenire nella terapia centrata sul cliente.
C’è una convinzione che, a mio parere, occupa una posizione essenziale nel pensiero di Rogers:
si tratta di una grande fiducia nel nostro organismo. In più punti dei suoi scritti (8) ribadisce tale convinzione e, tra l’altro, ricorda una sua esperienza: “Era una ripresa al microscopio in cui dei globuli bianchi si muovevano a caso nella corrente sanguigna; ad un certo punto comparve un batterio di una malattia ed essi hanno cominciato a muoversi contro il batterio in una maniera che potrebbe essere definita “intenzionale”. Lo circondavano e gradatamente lo inghiottivano e lo distruggevano, per tornare poi a muoversi a caso…”
Analogamente mi sembra che succeda un processo simile in un gruppo di incontro…intendo dire che ad ogni livello, dalla cellula al gruppo, ho visto espressa “la saggezza dell’organismo.”
Perciò, secondo il suo modo di vedere, “l’individuo disturbato o nevrotico…è un individuo il cui concetto di sé si era strutturato in modo non coerente con l’esperienza organismica.”
Si tratta di affermazioni che segnano una grande distanza rispetto alla cultura del suo tempo
(dominata in quel periodo dall’idea dell’uomo macchina del comportamentismo o dell’uomo ancora primitivo nel suo inconscio della teoria freudiana.) Forse per questo la prospettiva rogersiana veniva chiamata “la terza via” in quel periodo storico.
Se ci riflettiamo un momento, la grande fiducia nella saggezza del nostro organismo è la risposta da lui data alla domanda fondamentale: “Chi è l’uomo?” che porta immediatamente al nocciolo di ogni problema. (9)(10)
C’è almeno un altro aspetto nell’opera di Rogers che è utile ricordare: ha sempre manifestato un grande interesse per la ricerca, da lui stesso applicata al processo terapeutico. Ma ha cercato di individuarne anche i limiti.
Se ci chiediamo come il nostro organismo funziona con tanta saggezza possiamo trovare qualche risposta (certamente ancora provvisoria e parziale). La domanda alla quale né la biologia né la psicologia sono in grado di dare una risposta è perché l’evoluzione è arrivata a questo risultato.
In realtà oggi sappiamo che il sistema nervoso si è evoluto nel corso di milioni di anni diventando “unitrino”, cioè con tre componenti integrate tra loro (cervello rettiliano, mammifero, umano.)
Ma nulla ancora ci sa dire, in modo scientificamente convincente, perché l’evoluzione ha preso proprio quella direzione. Per fare qualche esempio, oggi siamo a conoscenza che si è verificata una trasformazione della vasotocina (presente nei rettili) in ossitocina, un ormone così essenziale per la maternità. (11)
A tale trasformazione possiamo dare un nome: “ exattamento”, che però si limita ad indicare un fenomeno, non certo a spiegarlo.
Tanti altri aspetti dell’opera di Rogers meriterebbero di essere ricordati.
Ci limitiamo ad accennare al suo retroterra filosofico, esplicitamente dichiarato, che attinge all’area fenomenologica-esistenziale. Da ricordare anche l’idea del funzionamento mentale come un flusso dinamico, di cui è possibile descrivere il percorso che si realizza nei gruppi di incontro.
Rogers è molto esplicito nell’indicare quali modi di agire vanno rispettati nel trattamento psicoterapeutico.
Si dichiara del tutto contrario all’uso dell’interpretazione (così essenziale nel trattamento psicoanalitico) perché collocherebbe il terapeuta su un piano di superiorità rispetto al cliente, quindi con più potere e conoscenza. E’ anche convinto che lo stile e la modalità relazionale descritta nella terapia possano risultare efficaci anche in altri ambiti, ad esempio nelle istituzioni scolastiche o in altre organizzazioni sociali.
Quello che a mio giudizio rimane un apporto prezioso è l’onestà ed il coraggio che hanno improntato il suo lavoro e la sua vita. Ha avuto il coraggio di porre domande fondamentali sull’uomo e sulla crescita potenziale della sua personalità. A prescindere dalle risposte che è riuscito a dare (a mio parere interessanti) ritengo che dobbiamo essergli grati per il coraggio e l’onestà con cui ci ha proposto interrogativi così essenziali.
NOTE
(1)Per fare un esempio, il contributo di Pierre Janet è stato ignorato per oltre un secolo. Le sue idee sono rimaste sepolte, riemergendo solo adesso grazie agli studi di psicotraumatologia. Riprendono le sue idee G. Liotti e B. Farina nel volume “Sviluppi traumatici” edito da R.Cortina nel 2011.
(2) Nel manuale di Psichiatria di S. Arieti scritto negli anni sessanta del Novecento vi è dedicato un intero capitolo (n°84) scritto proprio da Rogers. Nel voluminoso trattato di Psichiatria coordinato da Pancheri e Cassano (Masson 1999) non se ne fa alcun cenno.
(3) E’ la tesi sostenuta dal Dalai Lama nei suoi libri, per esempio nel libro “ La felicità al di là della religione. Edizione Sperling e Kuffen 2012”.
(4) Vedi il volume di Stephen W.Porges e Deb Dana “Le applicazioni cliniche della teoria polivagale”- Giovanni Fiorini Editore 2020
(5) Non è mia intenzione ridurre la ricchezza artistica delle due descrizioni ad un fenomeno di
cambiamento “traumatico” della personalità dei protagonisti dei loro racconti. Né può essere la
dimostrazione della validità di una tesi, come è già avvenuto con l’Edipo Re. Ma sarebbe anche arbitrario negare valore alle intuizioni di due eminenti artisti.
(6) L’intuizione è una modalità di conoscenza misteriosa. Sembra, ha testimoniato anche Einstein, che sia presente in modo decisivo anche nelle scoperte scientifiche più avanzate. Una descrizione di alcuni correlati cerebrali attivi durante questo fenomeno è contenuta nel libro di Goleman e Davison “La meditazione come cura”, Rizzoli 2017.
(7) Pirandello: “Il berretto a sonagli”. Opere, Mondadori.
(8) In questa rilettura si fa riferimento essenzialmente ai libri “La terapia centrata sul cliente” e ad un altro classico di Rogers dal titolo “ I gruppi di incontro.”
(9) Erich Fromm: “L’arte di ascoltare”, Oscar Mondadori.
(10) La domanda “Chi è l’uomo?” interroga ovviamente anche la Psichiatria. Questa disciplina potrà trovare una qualche risposta al di fuori del proprio ambito, in una varietà di tesi non sempre compatibili tra loro. Per esemplificare riportiamo due posizioni molto diverse fra loro. La prima è quella di Vito Mancuso il quale si chiede: “Dove cercare? La mia risposta è: “il nostro corpo”. Non dobbiamo andare lontano, la risposta è vicinissima, è dentro di noi, è scritta nella nostra carne, proviene dalla logica che ci ha portato all’esistenza e ci mantiene in essa e che ci viene proposta in ogni istante, basta saper ascoltare: è la logica dell’aggregazione, del sistema, dell’armonia relazionale. (Vito Mancuso: “A proposito del senso della vita”. Garzanti 2021)
E. Morin ci propone un punto di vista affatto diverso: “L’uomo è sapiens-demens, capace di una raffinata capacità di razionalità e scientificità, ma anche di pensieri primitivi o addirittura fancamente paranoici, di grandi conquiste (per es. l’abolizione della schiavitù ) e di vergognosi arretramenti; ed è ancora incapace di guardare alla complessità rifugiandosi in separazioni arbitrarie e semplificanti e quindi in conoscenze parziali ed inadeguate.” ( E. Morin: “Svegliamoci” Mimesis 2022.)
Il) libro di Panksepp: “Archeologia della mente”: Cortina, contiene informazioni originali ed aggiornate sulla biologia della vita affettiva.
Riflessioni sulla violenza e sulla guerra
Pubblicato da redazione
Autore: Mario Mulè
Cercare le origini della violenza e della guerra attraverso l’archeologia della mente e l’attenzione alle emozioni “primitive” si rivela un compito poco produttivo.
Tuttavia possiamo riconoscere l’esistenza di alcune pratiche potenzialmente utili ed efficaci.
Più che dalle funzioni cognitive, la speranza sembra provenire da pratiche capaci di stimolare e rafforzare le emozioni prosociali presenti nell’uomo.
Si tratta di una strategia che ha ricevuto un importante supporto dalle ricerche svolte in ambito neuroscientifico.
———————————————————————————————————————————-
A metà degli anni trenta del Novecento Walter Hess, studiando il funzionamento cerebrale di un gatto, osservò che la stimolazione con un elettrodo di un’area specifica del cervello provocava una intensa reazione di collera. Molte discussioni e molte polemiche vennero stimolate dalla pubblicazione di questa ricerca, a partire dal dibattito tra due diverse “ posizioni”: si trattava di “vera” rabbia o “finta” rabbia, come sostenevano i comportamentisti dominanti nel panorama scientifico di quel periodo.
Oggi quasi nessuno dubita che gli animali sentano emozioni che li guidano nel loro apprendimento e nel comportamento. Ma già allora era abbastanza conosciuta la somiglianza, sia anatomica che funzionale, tra tutti i cervelli dei mammiferi. Sembrava quindi che si potesse cominciare a capire l’origine dell’aggressività, negli animali e nell’uomo. Per questa ragione la scoperta, nel 1949, valse ad Hess il premio Nobel.
Oggi viene dato un valore limitato a tale scoperta, anzitutto perché si è capito che strutture, circuiti e meccanismi cerebrali coinvolti nell’emozione chiamata collera sono molto più complesse.
Né sembra che possa fornire una adeguata comprensione dell’aggressività nell’uomo e meno ancora della guerra.
E’ lo stesso Panksepp, fondatore delle neuroscienze affettive, che ci ammonisce quando ci dice:
“poco di quello che possiamo dire (della collera) può illuminare le cause della guerra nella specie umana.”(1)
Altri studiosi, ispirati dalla teoria dell’evoluzione, hanno rivolto la loro attenzione agli scimpanzè con i quali condividiamo quasi tutto il nostro patrimonio genetico. Hanno argomentato che obbligatoriamente troviamo nell’uomo aggressività e violenza, vista la nostra discendenza da tali animali, notoriamente rissosi e violenti.
Tuttavia una analisi più attenta ed informata mette in dubbio questa convinzione, perché non è dimostrata la nostra discendenza dagli scimpanzè. I nostri antenati potrebbero essere stati i bonobo, molto più pacifici e forse non conosciamo ancora quale specie ci ha preceduto (il famoso “anello mancante” di cui siamo ancora alla ricerca.)
La convinzione di una nostra discendenza da animali violenti è stata sostenuta da autorevoli pensatori. Tra questi troviamo Sigmund Freud cui si deve l’idea di “un’orda primitiva” precedente la civilizzazione umana.
Tale ipotesi finora non ha trovato nessuna conferma dalle ricerche archeologiche, anzi mancano del tutto prove che confermino l’esistenza delle guerre prima di dodicimila anni fa, epoca della rivoluzione agricola. E c’è anche chi sostiene che nella preistoria umana sia stata presente una società matriarcale, più amorevole e prosociale.
C’è anche un’altra ipotesi, anch’essa di derivazione darwiniana, che prende in esame l’istinto predatorio, presente in molti animali, che avremmo ereditato.
Gli studi scientifici, in realtà, ci dicono che l’istinto predatorio è molto diverso dalla violenza e dall’aggressività. Un esempio può chiarire queste differenze: un gatto arrabbiato avrà il corpo inarcato, il pelo irto, per apparire più grande, le unghie fuori dalle zampe, emetterà messaggi minacciosi. Al contrario, un gatto che caccia una preda sarà cauto, silenzioso, attento, si acquatterà per rendersi meno visibile dalla preda.
C’è un altro “istinto primitivo” da esaminare come fattore importante del comportamento violento, l’istinto di potenza. Esso ha ricevuto molti consensi, provenienti da ambiti diversi. Dall’ottica della psicologia comparativa è stato detto, senza mezzi termini: “E’ inutile nascondere questa realtà: siamo una specie gerarchica.(2) Kissinger (vissuto per molti anni vicino ai potenti) affermava che “per i maschi il potere è il sommo afrodisiaco”.
Anche in ambito psicologico e clinico si ipotizza un sistema motivazionale finalizzato a definire il rango, cioè la posizione gerarchica nel gruppo di appartenenza.(3)
La condizione gerarchica, (che implica l’esistenza di capi) merita uno studio attento, ma ha visto finora prevalere le riflessioni in ambito filosofico (Hobbes, Nietzcshe, Macchiavelli). Seneca ha detto: “I potenti della Terra esercitano l’ira come una specie di regale insegna.”
Pochi sono gli studi sui capi. In ambito biologico è stato trovato che negli animali in posizione alfa
si trovano alti livelli di cortisolo, che favorisce una iperattivazione dei sistemi di allarme, dannosa per la salute del corpo e della mente.
In ambito psicologico pochi hanno provato a riflettere sulla personalità dei capi. Uno di questi è stato E. Fromm, che ha dedicato in un suo libro un intero capitolo allo studio della personalità di Hitler.(4)
Visto che sono i capi che decidono di muovere gli eserciti e le armi, potrebbe essere molto utile saperne di più su di loro.
C’è ancora almeno un altro aspetto emotivo da considerare ed è l’odio per il nemico, quasi necessario nelle guerre. Cosa possiamo dire dell’odio? Si pensa che sia un modo di sentire specificamente umano, frutto avvelenato di alcune funzioni evolute, come la capacità di immaginare, di pianificare progetti, compresi quelli di aggressione e di vendetta.
Proviamo adesso a sintetizzare le annotazioni fatte finora: esserci rivolti all’archeologia della mente ci ha consentito di acquisire alcune nozioni utili, ma non di capire l’origine della guerra.
Per questa via, simile a quella seguita da S. Freud nella risposta ad A. Einstein che si interrogava sul perché della guerra, non si arriva molto lontano. (5) Nella sua risposta Freud, alla fine delle sue riflessioni (non certo banali) diceva: “Le chiedo scusa se le mie osservazioni l’hanno delusa”.
Quando non riusciamo a capire e a risolvere un problema, se siamo capaci di non deprimerci, possiamo pensare ad altri percorsi possibili.
L’avere indagato sulla violenza e su altri aspetti emotivi ad essa collegati ci ha impedito di osservare un campo più ampio? Ci ha impedito, per esempio, di considerare i processi di pacificazione e riconciliazione, così necessari in tutte le specie sociali?
Possiamo ricordarci di ciò che dice Terenzio dell’uomo: “Homo sum. Humani nihil a me alienum puto”. Lo stesso Freud, che considerava essenziale per spiegare la guerra l’istinto di morte, quasi per inciso accenna alla rosa dei moventi (in analogia con le 32 componenti della rosa dei venti).
Possiamo guardare alla nostra natura servendoci di una metafora: dentro ognuno di noi vi sono molti semi diversi (diverse potenzialità). Cresceranno e daranno frutti quei semi che saranno stati innaffiati e coltivati.
Ma è ora di dare parola a ciò che proviene dalle conoscenze neuroscientifiche: “il cervello è come un muscolo. Se sarà esercitato diverrà più robusto e potente”.
Gli studi neuroscientifici hanno dimostrato la validità di questa affermazione. Oggi sappiamo che “ neuroni che sparano assieme si aggregano assieme”. (D.Siegel)(6)
Con l’esercizio (la pratica) vengono sintetizzate nuove proteine, si creano nuove connessioni sinaptiche e si rafforzano precedenti connessioni.
Viene stimolata la produzione di mielina che isolando come una guaina gli assoni, ne aumenta la velocità di conduzione fino a cento volte. Addirittura è possibile la produzione di nuove cellule nervose (neurogenesi) a partire dalle cellule staminali.
Ma c’è un altro aspetto molto importante: la mente può dirigere il cervello, può plasmarlo e dargli una sua forma. Fa questo attraverso il direzionamento e la focalizzazione dell’attenzione e la ripetizione (la pratica).
C’è un altro dato, che sembra di notevole importanza e che dobbiamo considerare. Alla nascita il cervello umano è ancora immaturo, non si è ancora pienamente sviluppato. Sono presenti ed attive le parti filogeneticamente più antiche, mentre la corteccia cerebrale è ancora priva di connessioni. Ma è proprio questa immaturità che rende possibile l’apertura all’esperienza e l’assimilazione della cultura.
Oltre la genetica entra in gioco l’epigenesi, cioè lo sviluppo di strutture e funzioni promosse dall’esperienza.
Sappiamo anche che la cultura e l’esperienza incidono in modo molto più intenso nei primi anni di vita.
E’ evidente da queste conoscenze quanta importanza possano avere nell’uomo le relazioni precoci e quanto valore dovremmo dare all’educazione sia intellettiva che emotiva.
Alcune scoperte più recenti hanno poi riconosciuto la presenza di strutture nervose (il ramo ventrale del nervo vago) che, qualora attivate, producono benessere sia nel corpo che nella mente.
Questa componente del sistema nervoso autonomo viene attivato dalle relazioni sicure, che noi possiamo registrare inconsapevolmente ed a prescindere dalla comunicazione verbale.(7)
Perché anche noi possediamo sistemi di comunicazione non verbale, così essenziali nella vita sociale degli animali, che utilizzano mimica, qualità della voce, posizione del corpo, etc.
Se attingiamo inoltre alle conoscenze sulla mente sviluppate dalla psicologia orientale (soprattutto il buddismo) troviamo tra l’altro la seguente affermazione: ogni emozione distruttiva vede nella nostra mente un antidoto capace di neutralizzarla.
Inoltre ci viene detto che, accogliendo le emozioni distruttive e guardandole dall’interno, esse progressivamente esauriscono la loro potenza, fino ad estinguersi.(8)
Una buona notizia ci arriva anche da un orientamento della psicoterapia chiamato cognitivo-evoluzionista. Secondo questo modello, se riusciamo, non solo nel contesto terapeutico, a rimanere dentro una modalità cooperativa (comparsa piuttosto tardi nella storia umana ed è quindi ancora piuttosto debole) possiamo vivere le nostre relazioni in maniera più sana ed equilibrata e sapremo anche guardare la realtà in modo più realistico. (3)
Entro certi limiti possiamo contare anche sulle nostre funzioni superiori di tipo razionale per modulare le emozioni, comprese quelle distruttive.
A questa possibilità mi sembra faccia ricorso Andrea Cozzo, da molti anni impegnato sul fronte della nonviolenza, ci ammonisce però sulle difficoltà che incontriamo se vogliamo praticarla, riportando nel suo libro (9) un brano scritto da Aldo Capitini: “La nonviolenza è guerra anch’essa, o, per meglio dire, lotta; una lotta continua contro le situazioni circostanti, le leggi esistenti, le abitudini altrui e proprie, contro il proprio animo e il subcosciente.”
Proviamo infine a tirare le fila. Siamo ancora lontani dalla capacità di capire perché nel mondo continua ad essere presente la mala pianta della guerra. Possiamo tuttavia intravedere delle possibilità capaci di contrastarla. Possibilità che sono anche responsabilità, la responsabilità addirittura di garantire alla nostra specie la propria sopravvivenza.
La sapienza ebraica incoraggiava a credere ai “tempi messianici”, in cui la violenza umana sarà stata sconfitta e il lupo e l’agnello dormiranno l’uno accanto all’altro. Ma diceva anche che bisognava agire come se i tempi messianici, anzichè lontani, fossero già arrivati.
Come ogni utopia, ci indicava un meta verso cui tendere, per quanto ancora lontana.
Mi sembra che questo insegnamento sia valido anche oggi, un oggi dominato dalla paura e dall’inquietudine e senza la certezza di essere capaci di raggiungere la pace e la convivenza nel mondo.
Bibliografia
- Jakk Panksepp e Lucy Biven: “Archeologia della mente-Origini neuroevolutive delle Emozioni umane” R.Cortina Editore
- Frans de Waal: “L’ultimo abbraccio. Cosa dicono di noi le emozioni degli animali” R.Cortina Editore
- G.Liotti e F.Monticelli: “I sistemi motivazionali nel dialogo clinico” R.Cortina Editore
4) E.Fromm: “Anatomia della distruttività umana. CapXII Oscar saggi Mondadori
5) “ Perché la guerra? Carteggio tra A.Einstein e S.Freud” S.Freud “ Opere” Boringhieri
6) Daniel J.Siegel: “Mindsight. La nuova scienza della trasformazione personale R.Cortina Editore
7) Stephen W. Porges e Deb Dana: “Le applicazioni cliniche della teoria polivagale” G.Fioriti Editore
8) Dalai Lama-Daniel Goleman: “Emozioni distruttive” Oscar Mondadori
9) Andrea Cozzo: “ La nonviolenza oltre i pregiudizi” Di Girolamo Editore
“Svegliamoci”
Pubblicato da redazione
Considerazioni di Mario Mulè sullo scritto di Edgard Morin.
E’ ancora utile, dopo altri autorevoli commenti all’opuscolo di Edgard Morin “ Svegliamoci”, proporre ulteriori considerazioni?
Un dialogo su questioni tanto importanti ritengo sia comunque utile, perciò mi sono autorizzato a scrivere e a diffondere qualche altro pensiero.
Comincio con una mia sensazione: mi è sembrato che l’Autore, in questa breve opera, abbia voluto assumere una funzione ed una responsabilità profetica .(1)
Ma chi erano i profeti del mondo vetero testamentario?
Essi non “ predicevano”, ma “ dicevano”. I loro ammonimenti andavano oltre gli aspetti religiosi o morali, proponendosi piuttosto come “ realpolitici”.
Si proponevano la liberazione del popolo ebraico dalle illusioni, indicando una alternativa da scegliere, tra una società pienamente umanizzata ed una barbarie.(2)
Anche Morin, con il suo invito a svegliarci, ci indica che l’umanità si trova oggi davanti ad un bivio: possiamo proseguire continuando un percorso umanistico ( attualmente in regressione ) oppure correre inconsapevoli verso un possibile abisso.
L’invito ad aprire gli occhi per riconoscere la realtà e svegliarci certo non è nuovo.
Einstein aveva già segnalato che viviamo dentro una sorta di “ illusione ottica della coscienza. E’ una specie di prigione, che ci limita nei confini dei nostri desideri personali e dell’affetto per le poche persone a noi più vicine. Il nostro compito dovrebbe essere liberarci da questa prigione…”
Possiamo richiamare tanti altri pensieri simili: “ E’ un fatto che, mentre crede di essere sveglia, la maggior parte di noi è come assopita…Ciò che intendo dire può essere simboleggiato dal nome di Buddha, che significa colui che si è ridestato, l’essere umano davvero cosciente di sé”.
Chi ha detto queste parole non è un devoto buddista ma ( ancora ) Fromm.(3)
Dunque l’invito è a svegliarci, a liberarci per guardare a noi stessi e al mondo o addirittura all’Universo di cui facciamo parte: è questo l’invito perentorio che ci arriva da Morin e da tanti altri “ saggi”.
Come dobbiamo intendere questi ammonimenti? Certo non è un invito a fare sempre più cose, ad inseguire sempre nuovi desideri ( indotti) da soddisfare, ad acquistare e consumare.
“ La tecnica ( secondo Morin ) ha imposto, in settori sempre più estesi della vita umana, la logica della macchina artificiale, che è meccanica, determinista, specializzata, cronometrata. ( lavora, mangia, dormi.)
Detto in altre parole, essere indaffarati non è una soluzione, lo siamo già fin troppo.
Da più parti ci arriva l’invito a conoscere ed a prenderci cura della nostra mente.
“ La mente è come un oceano. Nel profondo, sotto la superficie, esso è calmo e limpido. Non importa se in superficie ci sia una tempesta, in profondità l’oceano è tranquillo e sereno. Dalla profondità della tua mente, puoi osservare tutta la tua attività mentale (pensieri, sentimenti, sensazioni, ricordi) senza legarti ad essi, imparando a lasciarli andare”. (4 )
La metafora di Siegel è molto rassicurante. Come scienziato e clinico che utilizza la Neurobiologia interpersonale egli ritiene che la neuroplasticità ci consenta di plasmare il nostro cervello; ritiene anche che possiamo dirigere la nostra mente, sviluppando attitudini molto preziose ( come altruismo, cooperazione, compassione) potenzialmente presenti nella natura umana.
Sulla stessa linea di pensiero si collocano altri autori, ad esempio Gilbert, Stephen W. Porges con la sua innovativa teoria polivagale. (5)
Ma non tutti coloro che si occupano della mente umana ( siano essi clinici o neuroscienziati) condividono questa linea.
Intanto i cambiamenti resi possibili dalla neuroplasticità richiedono grande autodisciplina ed anni di pratica.
Altri inoltre segnalano che “ la vita interpersonale dell’uomo deriva da articolazioni, combinazioni e sviluppi di questi sistemi ( interpersonali) già universalmente presenti nei primati, e continua a poggiare su di essi dalla culla alla tomba.” (6)
Quanto sono distanti o conciliabili queste due posizioni? Per Morin questa, semplicemente, è la realtà. L’uomo è sapiens-demens. Né può fare a meno della sua parte demens ( che è anche poetica) perché altrimenti la vita sarebbe arida. (7)
Dobbiamo però essere attenti e capaci di dominare ( o almeno attenuare ) quelle componenti che altrimenti ci dirigono, come sta avvenendo oggi per l’istanza prometeica “ una dismisura insensata si è impossessata dei possidenti”.(E. Morin)
Non so se l’umanità sarà capace di un pensiero complesso, che colga le
interconnessioni e gli aspetti paradossali presenti nella vita; se sarà capace di evitare che l’antropocene evolva verso thanatocene.
Ciò che oggi non possiamo negare è che la nostra casa, il nostro pianeta, sta bruciando. Che non c’è tempo da perdere, che è insensato restare indifferenti mentre la casa brucia. Tutto il resto viene dopo.
Forse ciò che può servire è una grande alleanza, una cooperazione ove lavorino insieme scienza e religione, movimenti e forze politiche, istanze etiche e pensiero razionale.
Se non ora, quando?
NOTE
(1) Lo stesso autore, nella sezione “ Ringraziamenti” posta alla fine del saggio, definisce quest’opera “un appello per un risveglio delle coscienze”.
(2 )Sono riflessioni di cui siamo debitori ad E. Fromm, tratte dal suo scritto “ Attualità degli scritti profetici”.
(3) E. Fromm: “L’arte di ascoltare” pag.162
(4) D.Siegel: “ Mindsight” pag.104- R. Cortina
(5) P.Gilbert: “La terapia focalizzata sulla compassione-Franco Angeli
Stephen W.Porges: “ Le applicazioni cliniche della teoria polivagale- Giovanni Fioriti Editore
(6) Nella prospettiva evoluzionista i sistemi motivazionali ( da intendere come tendenze molto potenti e spesso ineludibili ma diverse dagli istinti) sono disposizioni innate ed universali già presenti nelle specie animali evoluzionisticamente più vicini a Homo sapiens, selezionate dalla evoluzione.
Vedi G. Liotti: “ I sistemi motivazionali nel dialogo clinico- R.Cortina Editore
Su una linea simile si colloca l’importante opera di Panksepp, che ha fondato e sviluppato la neuroscienza affettiva. Vedi “ Archeologia della Mente”- R.Cortina
(7) E. Morin:” Amore, poesia, saggezza”- Armando Editore
Riflessioni sui tempi del Coronavirus
Pubblicato da redazione
Autore: Mario Mulè
Caro Augusto,
ho letto ciò che hai scritto in merito a quanto stiamo vivendo in questi giorni. Mi riferisco al tuo articolo “ Pandemia e altre calamità: un ‘peccato’ tutto moderno”. (www.augustocavadi.com)
Mi piace aggiungere qualche mia riflessione alle tue.
Mi considero autorizzato ad intervenire perché conosco la tua disponibilità all’ascolto di “ non filosofi”, quale io sono; tante volte l’ho sperimentato negli incontri avuti in questi anni con te, con Orlando Franceschelli, Alberto Biuso e tanti altri eminenti “ filosofi di strada”.
D’accordo con te sulla improponibilità del peccato originale come giustificazione e spiegazione di questo e di altri eventi catastrofici che hanno colpito l’umanità nel corso dei secoli.
D’accordo anche con l’opportunità di non liquidare superficialmente e sbrigativamente il mito del peccato originale, cercando invece di cogliere il senso cui la metafora allude.
La lettura che io preferisco è quella che ci ha fornito E. Fromm, che ha scritto: “Se una volta l’uomo nel Paradiso ha mangiato dall’albero della conoscenza, non può più fare ritorno all’unità primigenia…essere nel mondo senza fratture, senza il sentimento di estraneità: questa unità non può essere ristabilita…Eppure esiste la possibilità che l’uomo, sviluppando la propria ragione e la propria capacità di amare, riesca a ricostruire una nuova unità con il mondo, seppure diversa.”
Il mito, a parere di Fromm, ci parla dell’emergere della coscienza. Un dono immenso, ma non privo di “effetti collaterali”, dal momento che ci rende consapevoli di essere mortali, soggetti a malattie e altre sofferenze, a volte impotenti nei confronti del nostro destino.
Ma perché poi la disubbidienza è un peccato così grave e imperdonabile, da scontare “ nei secoli dei secoli?”
Forse ci parla di un mondo patriarcale, dove l’ubbidienza era uno dei primi comandamenti: non solo veniva comandato “Onora il padre e la madre”, De Andrè aggiunge “anche il loro bastone”. C’era anche l’imperativo di una ubbidienza assoluta, senza eccezioni: Abramo doveva ubbidire anche quando gli veniva chiesto da Dio di commettere il crimine più orrendo, di sacrificare il proprio figlio Isacco.
Ma disubbidire, ovvero trasgredire, può assumere oggi tutt’altro significato. Basta inserire un trattino tra trans e gredire; avremo allora l’invito a trans-gredire, ad andare oltre, a cercare , a conoscere.
Ma mettiamo da parte la metafora che, in quanto tale, si presta a molte altre interpretazioni e torniamo a questi nostri giorni.
Sto seduto nella verandina di casa mia, con vista sul giardinetto e guardo le piante di gerani: quanti colori, quante sfumature e combinazioni, un vero piacere per gli occhi. E poi garofani fuxia, gialli, porpora e più in là nel giardino condominiale, grandi alberi che si muovono al vento. Ma anche tanti animali, lucertole, uccelli, insetti…In questo piccolo lembo di città quante forme di vita!
Frutto dell’evoluzione, delle tante mutazioni che hanno inventato innumerevoli forme di vita, alcune delle quali hanno avuto la sorte di incontrare l’ambiente favorevole per espandersi e riprodursi.
Ed io che sto guardando e sto pensando? Sono anch’io il frutto di una evoluzione?
Sembra proprio che sia così. Un autorevole studioso ( Michael Tomasello ) “ha argomentato in maniera assai convincente che un singolo adattamento darwiniano…deve avere aperto la strada che conduce dalla evoluzione biologica alla evoluzione culturale tipica della specie umana, connessa alla capacità ( esclusivamente umana ) di percepire l’altro come simile a sé nell’intenzionalità” (G.Liotti ).
Da questo adattamento darwiniano si è poi sviluppata la coscienza che consente di definire la nostra specie come Homo sapiens sapiens.
Quindi che sa di sapere, ma che ancora non sa quali siano i correlati biologici della coscienza!
Dunque le mutazioni sono continue, numerose, sotto gli occhi di tutti. A volte ci gratificano, come hanno fatto i fiori per me, ma ricordiamoci anche che la natura è “dell’uomo ignara e delle etadi” (Leopardi), che opera al di fuori della moralità e quindi non ha senso attribuirle finalità.
Perché mutano anche i batteri, diventando resistenti agli antibiotici, mutano anche i virus; e qualcuno di essi trova come habitat ideale il corpo umano per riprodursi e moltiplicarsi.
Niente di strano, niente di eccezionale: è la natura, è la vita.
Hanno detto che il virus è “ scappato” da un laboratorio cinese. Può essere solo una manovra propagandistica, visto il personaggio che l’ha diffusa, non potremo certo verificarlo. Possiamo però utilizzarla come una metafora, perfetta nel descrivere l’uomo “apprendista stregone”, adoratore della tecnica che può rivoltarsi contro di lui.
Comunque ormai il virus è tra di noi. E’ il nostro “nemico”, cui dobbiamo fare “guerra”.
L’uso di questi termini mi preoccupa. Temo che possa essere un linguaggio che esprime un modo di essere e di pensare in cui ci sono “ nemici”, “noi” contro di “loro”. Spero di sbagliarmi ma mi lascia inquieto.
Sento spesso fare la domanda “agli esperti” su cosa ci lascerà questa esperienza: nell’economia, nella vita sociale, nel nostro futuro. Molti pensano che non sarà più come prima.
Ma abbiamo mai avuto la capacità di leggere il futuro? Forse è più saggio cercare di capire cosa ci sta succedendo oggi, di porci qualche domanda, di guardare dentro ed attorno a noi.
Una prima domanda ( di ispirazione evoluzionista) potrebbe essere la seguente:
Se il covid 19 viene percepito come pericolo per la nostra stessa vita, come minaccia di morte, è inevitabile che attivi il nostro sistema di allarme, molto attento e potente ( ha circa 500 milioni di anni, è nato con i rettili ed è presente nel nostro cervello rettiliano). Con quali conseguenze?
Che emozioni, che pensieri, che comportamenti mette in azione dentro di noi?
Un’altra domanda possibile: le forti limitazioni della vita sociale, così fondamentale nell’esistenza umana dove l’intersoggettività è costitutiva e sta alla base della nostra stessa fondazione umana, che effetto stanno avendo sulla qualità della nostra vita? I rapporti per via telematica possono essere sostitutivi di incontri in carne ed ossa ?
Ed ancora: le restrizioni imposte dal virus hanno interrotto bruscamente modalità di funzionamento automatizzate, hanno messo in crisi ruoli predefiniti, ci hanno costretto ad interrompere una vita imperniata sul “ fare” più che sull’ “ essere”.
Come stiamo reagendo a tutto questo?
Porci qualche domanda, cercando di essere curiosi e consapevoli, guardando a noi stessi ed agli altri forse potrebbe farci bene.
Vorrei fare ancora qualche riflessione.
Anche in questo evento, come è già successo dopo altri grandi disastri, vediamo fiorire iniziative ispirate ad empatia, altruismo, solidarietà. Molti studiosi stanno lavorando alacremente ed in modo cooperativo per offrire cure efficaci a questa umanità spaventata e smarrita; senza barriere nazionali, senza obiettivi di lucro, quasi a testimoniare che l’affermazione della antropologia evoluzionista che ha definito la specie umana “ipersociale” abbia colto nel segno.
Sono sentimenti e comportamenti che testimoniano di capacità umane fondamentali, forse quelle su cui puntare per scongiurare altre catastrofi, certo più gravi, che possono realizzarsi con la complicità dell’uomo.
Le neuroscienze ci confermano quello che antiche sapienze avevano già capito e cioè che queste qualità possono essere coltivate e sviluppate, che la mente può guidare il cervello, che certi stati ( per es. la compassione ) se coltivati possono diventare tratti durevoli, aspetti stabili della nostra personalità.