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Attenzione! Sta arrivando Charles Robert Darwin

Autore: Mario Mulè

Cari colleghi “ Psi”, care amiche, cari amici,

ho scritto questi appunti spinto dal desiderio di scambiare quattro chiacchiere, senza altre pretese.

Se qualcuno vorrà chiacchierare, gliene sarò grato. Altrimenti pazienza, cercherò di riflettere da solo, anche se questa modalità mi risulta più difficile e meno piacevole.

Serve un titolo? Può andare bene il seguente:

Attenzione! Sta arrivando Charles Robert Darwin

Per una breve sintesi:

Nuove conoscenze provenienti dalle neuroscienze affettive, dalla psicologia comparata e da altre fonti hanno dato nuova enfasi ai fattori biologici alla base del comportamento umano e ad una visione evoluzionista. Tali conoscenze costringono a riconsiderare il reciproco rapporto fra natura e cultura. Inoltre promettono di fornire alla psichiatria ed alla psicologia prospettive nuove e di rendere più comprensibili le difficoltà che spesso si incontrano in psicoterapia quando questa si propone di avviare cambiamenti non soltanto sintomatici.

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Alle soglie del Novecento Sigmund Freud propose un “Progetto per una Psicologia”, fondato sullo studio del cervello.

Egli stesso in seguito prese un’altra strada e definì il progetto improponibile e folle; e forse a quel tempo lo era davvero.

Dopo oltre un secolo l’onda lunga della biologia sta arrivando sulle sponde della psichiatria e della psicologia e le costruzioni ed i paesaggi mentali da loro costruiti in questo secolo stanno subendo profondi cambiamenti.

La biologia sta avanzando irresistibilmente, sospinta dall’evoluzionismo e dalle nuove conoscenze consentite dal progredire delle tecniche.

Risonanza magnetica funzionale, PET, stimolazione profonda del cervello, sonde farmacologiche ed altre tecniche molto sofisticate stanno fornendo strumenti per un balzo in avanti prodigioso.

Ci viene consegnato, anno dopo anno, un patrimonio di conoscenze che non possiamo ignorare, sia che si faccia ricerca, sia che si lavori artigianalmente nella propria stanza di terapia.

Prendiamo, ad esempio, quanto ci dicono le neuroscienze affettive.

Panksepp ed altri hanno documentato in maniera molto convincente l’esistenza di “motori primi”, cioè di strutture collocate in parti antiche del nostro cervello, che sono le fondamenta delle nostre funzioni affettive e delle nostre emozioni.

Hanno avuto questo nome in quanto attivatori di comportamenti e apprendimenti. Si tratta di strutture e di funzioni molto potenti, essendo una eredità evolutiva che ha funzionato per milioni di anni, rendendo grandi servigi alle specie che le possedevano.

Tutti i mammiferi ne sono dotati, uomo compreso.

Il fatto che Homo sapiens possegga ulteriori capacità (razionalità, linguaggio, immaginazione, etc) non comporta la loro disattivazione, anzi la loro influenza si fa sentire anche quando queste funzioni superiori vengono messe in atto.

A parere di questi studiosi è già possibile inquadrare le varie personalità e le relative disfunzioni proprio a partire dalla conoscenza dei “ motori primi”, e di fatto esistono le relative scale di valutazione per una loro applicazione clinica. Lo stesso DSM5 ha preso in considerazione questo modello, anche se ancora non lo ha adottato.

Anche molte sindromi psichiatriche verrebbero spiegate ( e forse, in futuro, curate) a partire da queste conoscenze.

Panksepp ha descritto i principali motori primi, rintracciando le strutture cerebrali coinvolte ed i relativi sistemi biochimici:

Ricerca, Rabbia, Paura, Gioco, Cura, forse anche Sessualità sarebbero già localizzabili in specifiche aree cerebrali, assieme ai neurotrasmettitori attivi in quelle aree.

Anche Paul Gilbert si muove in questo scenario e propone un sistema semplificato, composto da tre componenti (sistema di allarme e di protezione dalla minaccia, sistema di ricerca di stimoli e risorse, sistema calmante di appagamento e sicurezza ) che interagiscono tra loro.

La proposta di Giovanni Liotti prende in considerazione cinque Sistemi motivazionali interpersonali ( attaccamento, accudimento, agonismo, sistema sessuale, cooperazione paritetica). Anche per Liotti i sistemi motivazionali interpersonali, eredità filogenetica e patrimonio di tutti i primati, sono a fondamento della vita interpersonale: “tutta la vita interpersonale dell’uomo deriva da articolazioni e sviluppi di questi sistemi…e continua a poggiare su di essi dalla culla alla tomba…”

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L’esistenza di un fondamento biologico alla base del comportamento e delle funzioni mentali umane non è una novità. Basti qui ricordare la posizione di Freud e il suo concetto di Es ( nelle sue componenti di Eros e Tanatos )come una delle tre componenti costitutive dell’apparato psichico ( assieme ad Io e Super Io ).

Ma anche un autore come E. Fromm, che pure ha valorizzato il ruolo dei fattori culturali e sociali, non ha mai negato la componente costituzionale. Emblematica è la sua affermazione, apparentemente paradossale:                          “ natura al 100%, cultura al 100%” .

Non credo sia corretto enfatizzare troppo l’importanza dell’aspetto biologico, perché non vi è dubbio che l’uomo sia fortemente condizionato dai sistemi culturali in cui nasce e vive.

D’altra parte a mio parere è piuttosto estremista e non condivisibile l’affermazione di alcune scuole di psicologia le quali sostengono che “la natura dell’uomo è la sua cultura”.

Le forze in gioco sono tante, né si può sottovalutare l’influenza sull’umanità del sistema economico. Forse hanno visto bene coloro che hanno riconosciuto un particolare “ fenotipo” umano, frutto dell’attuale sistema consumistico-capitalistico, che hanno chiamato “homo consumens”.

Altri ancora ci segnalano le idee e l’immaginazione umana come i veri propulsori della storia e portano come esempio la nascita dal 15°secolo in poi del concetto di un “oltre”, di mondi e saperi ancora sconosciuti e da esplorare.

Da qui avrebbero avuto avuto inizio le grandi scoperte geografiche                   (anche se i finanziamenti che le rendevano realizzabili provenivano da società finanziarie e da banche del capitalismo nascente).

Dobbiamo accettare dunque che le varie scienze dell’uomo (biologia, economia, psicologia, antropologia, paleontologia, etc) procedano ancora separate, non essendo ancora disponibile un modello capace di tenere insieme le tante variabili in gioco?

Anche accettando la parzialità di un approccio biologico e più specificamente evolutivo, non credo sia corretto considerarlo accessorio o marginale.

Dopotutto, dietro le scrivanie delle banche oppure come timonieri di navi (oggi di navicelle spaziali) vi sono sempre donne e uomini in carne ed ossa, con le loro emozioni.

Possiamo dunque attribuire legittimità ed importanza ad un approccio biologico-evoluzionista, ma dobbiamo riconoscere subito che sorgono e si impongono alcune domande che cercheremo di illustrare.

  1. Non possiamo certo pensare che i contributi neuroscientifici abbiano già fornito una conoscenza esaustiva del cervello. E’ ancora un mistero come si origina la coscienza, tanto meno abbiamo idea di come fanno impulsi chimici ed elettrici a trasformarsi in sentimenti, pensiero, fantasia.

Se quindi le nostre conoscenze sulla macchina della mente sono così parziali, che possibilità abbiamo per una farmacoterapia che poggi su basi sicure?

Potrebbe avere buone ragioni chi ha sostenuto (R.Whitaker) che “ i cambiamenti indotti dai farmaci nella chimica della mente possono provocare processi antagonisti che gradualmente destabilizzano siffatta chimica al punto di non potere raggiungere un senso di normalità”?

Un esempio di questa tragica eventualità è sotto gli occhi di ogni psichiatra ed è la discinesia tardiva, indotta dai neurolettici e sostanzialmente incurabile ed invalidante.

  • Una regola fondamentale dell’evoluzione è che non viene mai abbandonato quanto acquisito e che migliora il funzionamento e la sopravvivenza della specie. Ad esempio, dopo che è stato “inventato” l’apparato circolatorio, ha continuato ad essere presente in tutti gli organismi delle specie successive.

C’è qualche valido motivo per pensare che questo non debba valere per i “motori primi”, che hanno consentito l’affermazione dei mammiferi per milioni di anni?

Il nostro cervello unitrino ne è testimone, visto che non ha abbandonato le strutture e le funzioni che si erano sviluppate prima dell’ homo sapiens.

Come abbiamo visto prima, ormai sono in tanti che ne riconoscono il ruolo fondamentale nel nostro funzionamento mentale orientandolo e forse (a volte) determinando la sua direzione.

  • Sappiamo che oggi esistono centinaia di modelli di cura in ambito psicoterapeutico.

L’ipotesi di pervenire ad una “psicoterapia senza aggettivi” fino ad oggi è rimasta solo un desiderio.

Molte delle terapie attuali si basano sulla modifica di funzioni corticali puntando sulla metacognizione o sul riconoscimento e la correzione di errori cognitivi.

Anche nelle principali correnti psicoterapeutiche in realtà si vedono integrazioni ed aggiornamenti che tengono conto (in parte) di acquisizioni provenienti dalle neuroscienze o da ricerche relative alla dimensione emotiva: molti psicanalisti, ad esempio, hanno cooptato i risultati delle ricerche sull’attaccamento. Liotti, di scuola cognitiva, arricchisce il suo approccio con concetti di derivazione evoluzionista, tanto da definire la propria impostazione cognitivo-evoluzionista. In particolare ha molto valorizzato il sistema interpersonale cooperativo paritetico come necessario per una efficace pratica terapeutica.

Modelli che prendano avvio dalla conoscenza dei fondamenti emotivi e dalle neuroscienze non sono ancora numerosi.

Siegel propone l’esercizio della “ruota della consapevolezza” mentre Gilbert utilizza pratiche immaginative ritenute capaci di attivare sistemi (come, ad esempio, quello calmante) di cui si conosce la base anatomica e neurochimica.

Facciamo un esempio: un paziente con disturbi d’ansia potrebbe immaginare un posto sicuro, ripetendo molte volte questa pratica, in modo da modificare un funzionamento che vede troppo attivo il sistema di allarme. Oppure il paziente potrebbe incarnare (come fosse un attore che entra nella parte con tutto se stesso) un personaggio compassionevole, per modificare modalità di funzionamento autocritico guidate dalla vergogna e sviluppando un rapporto con se stesso e con il mondo all’insegna della compassione.

E’ difficile dare un giudizio su queste nuove pratiche: quando si tratta di modificare strutture innate e modalità di comportamento e di pensiero affermatisi nel corso di tanti anni modellati dall’esperienza o di deviazioni indotte da eventi traumatici, le pratiche immaginative sono efficaci e sufficienti?

  • Se allarghiamo un po’ il campo di osservazione possiamo vedere che cambiamenti più o meno straordinari o miracolosi vengono descritti in opere letterarie o nelle tradizioni religiose.

Quelli che qui ci interessano maggiormente sono i cambiamenti della personalità, un vero rompicapo per ogni terapeuta.

Uno di questi esempi letterari ci viene fornito da Dostoevskij ne “I fratelli Karamazov”, quando descrive lo starec al cui convento si recano tante persone sofferenti che sperano nelle sue straordinarie qualità di guaritore.

Ad una lettura superficiale può sembrare che il suo intervento altro non sia che l’insegnamento del Vangelo cristiano e il rinsaldamento della fede. In realtà l’incontro con i fedeli sofferenti è reso straordinario dalle qualità dello starec.

Quando egli accoglie la madre disperata ed inconsolabile per la morte del bambino (una depressa?) sta riversando su di lei una pietà immensa, un amore compassionevole che avvolge tutta la persona, mentre le posa la mano sul capo e le dà la sua benedizione.

Ma anche l’Innominato manzoniano o il ladro Jan Vajian di Victo Hugo fanno una simile esperienza, che cambia per sempre la loro personalità.

Dello stesso genere è l’esperienza che ci racconta lo scienziato Paul Ekman. Quando ha incontrato il Dalai Lama: “In quei 5-10 minuti mi sentii inspiegabilmente avvolto da un calore fisico, un calore meraviglioso in tutto il corpo ed in faccia.”

Ekman sostiene che quell’incontro ha cambiato la sua vita, rivoluzionando le sue modalità relazionali e rindirizzando anche la sua ricerca in ambito psicologico.  

Molto interessanti sono anche i racconti che possiamo recuperare dalle tradizioni religiose. Qui viene ribadito che un cambiamento richiede scelte radicali, perché non possono esistere mezze misure.

“ Lascia che i morti seppelliscano i loro morti”, dice Gesù di Nazaret all’uomo che voleva seguirlo, ma chiedeva di poter prima andare a seppellire il padre defunto.

Una pretesa, quella di Gesù, che può apparire eccessiva, ma che indica chiaramente la necessità di una scelta veramente radicale.

E non era così anche per chi voleva seguire Budda? E per gli Stoici? E per gli Epicurei? Ma può chiedere tanto un terapeuta ad un suo paziente?

E tanto anche a se stesso?

Questi esempi letterari e questi racconti tratti dalle tradizioni religiose potrebbero indicare che i cambiamenti nell’uomo avvengono solamente in condizioni straordinarie?

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Circa 80.000 anni fa un singolo cambiamento nel funzionamento cerebrale ha dato all’uomo nuove capacità: la capacità di una intenzionalità congiunta (visibile già in un bambino di nove mesi) e di una intenzionalità collettiva (al 3° anno di vita) avrebbero dato inizio alla cultura umana, con ricadute enormi sulla specie Homo sapiens.

In un lasso di tempo che nella scala evolutiva è solo un battito di ciglia, Homo sapiens (sapiens?) è diventato il signore dell’intero pianeta (ed il terrore dell’ecosistema).

E già pensa di scavalcare ed andare oltre le regole della natura (e della evoluzione) diventando lui stesso creatore di una nuova natura nata dalla sua intelligenza.

Nel 2020 è arrivata la pandemia, un vero e proprio attacco frontale all’onnipotenza ed all’idea di un progresso ed una crescita senza limiti del benessere umano.

Stiamo assistendo a fenomeni che in psichiatria vengono considerati psicotici (negazione, pensieri paranoici di complotto, pensieri magici, etc).

Come guardare dunque all’uomo? E’ un essere che si è evoluto fino a diventare un dio, ricco di tecnica, di pensiero, capace di guardare la verità dentro di sé e nel mondo?

Oppure funziona ancora determinato dai “motori primi” (oltre che da altri condizionamenti socio-culturali )?

Oppure è entrambe le cose insieme?

La mia convinzione è che dentro di noi c’è l’uno e l’altro.

Sono arrivato a questo convincimento aiutato dalle scoperte e dalle riflessioni di tanti studiosi che hanno cercato di capire l’uomo, e poi ci hanno trasmesso quanto avevano capito (ecco l’importanza del linguaggio e della cultura!).

Ed il materiale su cui studiare certo non manca: è abbondante non solo perché viene portato ogni giorno nella stanza di terapia; in realtà è sempre davanti a noi. Ed anche dentro di noi, visto che arriva quasi ogni notte con i nostri sogni.

Pochi praticano l’autoanalisi, ma chi lo ha fatto ha dichiarato che considerava questa pratica “meditativa” l’attività più importante della giornata.

A me pare che noi possediamo sia l’eredità evolutiva, sia altre capacità esclusivamente umane.

L’eredità evolutiva tuttavia non va demonizzata: intanto è una realtà e non serve a niente negarla.

Ma poi perché dovremmo guardare, per esempio, al sistema di cure o al sistema di rango come una imperfezione della natura umana? Cosa sarebbe l’umanità se non ci fosse il sistema di cura, così essenziale per la crescita e la sopravvivenza stessa del cucciolo dell’uomo?

Tutti i “motori primi” hanno avuto ed hanno ancora innegabili “ valori” e funzioni essenziali per la vita. Spesso però ci imprigionano, perché naturalmente dati come troppo potenti oppure perché resi tali dalle esperienze (soprattutto precoci) cui siamo andati incontro nella nostra storia di vita.

Abbiamo la possibilità di sceglier e di essere liberi? A volte si, altre volte questo non è possibile. Certo possiamo assumerci l’obbligo di un impegno, ma dobbiamo riconoscere, per noi e per gli altri, che non sempre l’impegno riesce efficace. Certo è però che l’uomo non ha sconfitto la sofferenza, e spesso viene a bussare alla nostra porta di psicoterapeuti e di psichiatri per essere risanato.

Che mezzi possediamo?

Abbiamo un po’ di farmaci (da usare con prudenza ); molti li richiedono perché congruenti con la nostra cultura “ tecnologica” in cui tutti viviamo.

Possiamo avere sviluppato un po’ di conoscenza e di sensibilità che ci consente di sintonizzarci con l’altro e dare un senso alla sua sofferenza.

Non dobbiamo però pretendere di essere potenti, perché le forze in gioco, siano esse naturali oppure sociali e culturali, possono essere molto potenti. Forse anche noi terapeuti abbiamo sviluppato troppa onnipotenza. Ci siamo dimenticati che curare è, in primo luogo, prendersi cura, condividere, non lasciare solo chi sta male.

Per concludere (anche se non c’è una conclusione) vorrei dedicare un pensiero (compassionevole) a chi rimane sconfitto, come accade spesso, ai pazienti più gravi (gli psicotici). Vorrei farlo in forma di poesia, arrivata un giorno chissà da dove…

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Anime malate

Nel frastuono del mondo

si sono perse, dissolte

quelle grida, quei pianti,

i singhiozzi, il furore.

Ma qualcuno racconta

di una casa, di un santo

che ridona salute

che dà vita e speranza.

Già qualcuno è partito

sogna abbracci, calore

Già qualcuno ritorna

con lo sguardo ormai spento

e trascina i suoi passi

con la morte nel cuore.

Letture di riferimento

  1. Jaak Panksepp e Kenneth L. Davis: “ I fondamenti emotivi della personalità”                                                          R. Cortina
  2. P.Gilbert: “La terapia focalizzata sulla compassione”  F.Angeli
  3. Frans de Waal: “ L’ultimo abbraccio”                 R. Cortina
  4. Hanna Wolf: “Gesù psicoterapeuta”                  Ed. Queriniana
  5. G.Liotti: “La dimensione interpersonale della coscienza”– Carocci
  6. M.Tomasello: “Divenire Umani”                                     R.Cortina
  7. Brian Hare e Vanessa Woods: “La sopravvivenza del più amichevole”

                                                                                     Le Scienze—Ottobre 2020

  • Y.N.Harari: “ Sapiens- Da animali a dei”                   Bompiani
  • Daniel J.Siegel: “Diventare consapevoli”                       R.Cortina

Chi volesse contribuire al dibattito sul tema, può scrivere all’indirizzo mail: mario.mule@alice.it

Note introduttive ai DCA

Fonte : “Note introduttive ai DCA” di Mario Mulè

Per descrivere i disturbi dell’alimentazione è stata utilizzata la metafora del quadrivio, di un luogo in cui convergono strade e direzioni diverse.

In effetti in questi disturbi tanti aspetti della condizione umana si ritrovano coinvolti: c’è il corpo, con la sua fisiologia e la sua fisiopatologia; c’è la mente e la psicopatologia. Incontriamo spesso l’adolescenza, a sua volta momento di snodo tra infanzia e vita adulta.

E c’è ancora molto altro: la presenza di questi disturbi nel nostro mondo c.d. occidentale e la loro assenza in altre regioni del pianeta chiama in causa le culture di appartenenza, e con esse altre scienze umane quali l’antropologia, l’economia, l’etnopsichiatria. Ed ancora, la netta prevalenza nel genere femminile ci interroga sul ruolo della donna e sulla sua evoluzione in questi ultimi decenni.

E poi, soprattutto, vi sono le storie, tante storie a volte raccontate, più spesso tenacemente nascoste dentro una sintomatologia saturante e pervasiva.

A guardare bene, più che un incrocio sembra un groviglio, che certamente non è facile “ sgrovigliare”.

Si può provare tuttavia a seguire alcuni fili, nel tentativo di dipanare in qualche misura la matassa.

Cominciamo con il corpo. Continua..

Mindfulness e Psicoterapia

Fonte: Recensione e commento a “Mindfulness e Cervello” (2009) di D. Siegel a cura di Vito Petruzzellis

Le considerazioni qui riportate prendono spunto dalla sollecitazione espressa da Siegel nel suo ultimo volume “Mindfulness e Cervello” (2009), sulla utilità di integrare la meditazione all’interno delle pratiche psicoterapeutiche.

Questa problematica è affrontata da Siegel a partire dal racconto della sua esperienza diretta di partecipante ad una esperienza di pratica meditativa, e attraverso l’approfondimento delle questioni in un modo scientificamente fondato.
Offre così la possibilità non usuale di assistere al confronto tra il Siegel scienziato e terapeuta ed il Siegel persona, con le sue particolarità, le sue difficoltà, ed anche il suo bisogno di relazione e di conoscenza.
Provo a sintetizzare.
La concettualizzazione di Siegel si muove intorno a due cardini basilari del funzionamento mentale:

l’ integrazione mentale e la consapevolezza mindful.

L’autore sostiene infatti che la mindfulness, – orientamento scientifico che si richiama alla tradizione meditativa Vipassana, derivante dalla tradizione buddhista Thervada, integrata con la psicologia cognitiva di Aaron Beck – si rivela in grado di favorire le funzioni integrative della mente sia in ambito fisiologico che patologico.
Per descrivere le caratteristiche dell’ integrazione mentale fa ricorso alla metafora della ruota.Nel senso che i raggi rappresentano i tanti e diversi canali percettivi, mentre il mozzo ha la funzione di connetterli centralmente con le emozioni, i pensieri, le conoscenze, integrando i diversi aspetti propri della coscienza individuale e mantenendo al tempo stesso un asse di stabilità e di coerenza unitaria. Continua..

Resilienza e Corporeità

Fonte: “RESILIENZA e CORPOREITA’ ” a cura di Vito Petruzzellis (Relazione presso l’Istituto di Psicologia Funzionale Corporea del 29/11/08)

RESILIENZA E SALUTOGENESI

Resilienza è un termine che ha assunto un significato complesso in campo psicologico, in riferimento ai meccanismi che rendono possibile il superamento di condizioni ed eventi esistenziali particolarmente difficili.

Deriva dalla radice latina “resilire=rimbalzare”, indicante la durezza del metallo nel resistere ai colpi e riprendere forma.

Più di recente, in lingua inglese (resilience) è diventato un termine per indicare una reazione positiva alle esperienze avverse, soprattutto ai traumi psicologici in età evolutiva. Continua..

I sintomi-base. Percorsi verso l’alienazione mentale

Fonte: ”I sintomi base. Percorsi verso l’alienazione mentale” di Egidio Bove

La teoria dei sintomi base, delineata dal gruppo di Bonn diretto da Gerd Huber, al pari di quella della vulnerabilità di Zubin, prende in considerazione svariati fattori nella genesi della patologia mentale schizofrenica. Il tempo della contrapposizione tra i sostenitori dei fattori genetici, ambientali e psicologici nella etiopatogenesi della schizofrenia non ha più motivo di esistere. La storia della psichiatria e della psicologia clinica insegna che queste contrapposizioni sono sterili e non portano da nessuna parte. Più che il continuo proliferare di teorie di parte si avverte oggi la esigenza di un modello che funga da super-teoria, e che sia in grado di accogliere sotto il suo ventaglio svariati punti di vista: biologico, dinamico, sociale, ecc. Continua..