Archivio per la categoria 'Casi clinici'
Lettera semi-seria ai cari pazienti ossessivo-compulsivi
Pubblicato da redazione
Autore: Dott. Mario Mulè
La pandemia di Covid 19, di cui non possiamo ignorare la gravità e la pericolosità, vi offre una occasione eccezionale ( si spera) per normalizzare la vostra sofferenza. Cioè per considerarla più vicina alla norma, intesa come una modalità di funzionamento che la maggior parte delle persone mette in atto in specifici contesti.
- Ecco le mie argomentazioni, che spero possano diventare vostre ed utili per voi:
Nel disturbo ossessivo-compulsivo un pensiero relativo ad un evento o più eventi pericolosi si installa nella mente occupandola insistentemente. Non c’è modo di scacciarlo, la mente ruota attorno a tale pensiero, alle sue varianti, alle innumerevoli modalità con cui può realizzarsi. Ma è quello che sta succedendo alla maggior parte delle persone in questo periodo “pandemico”. Le persone non parlano d’altro, giornali e televisione anche, è un tormentone che non finisce mai, che ci assedia ( ossessione deriva dal termine latino obsidere, cioè assediare).
Siamo tutti sotto assedio.
- Uno dei meccanismi fondamentali di difesa messo in atto dagli ossessivi è l’evitamento, il tentativo di tenere lontano il pericolo.
Ma “stiamo tutti a casa” non ha una certa somiglianza con tale meccanismo?
Meglio chiarire subito, a scanso di equivoci, che non voglio mettere in dubbio indicazioni di comportamento utili ad evitare la diffusione del contagio. Non è il mio scopo e sarebbe gravemente irresponsabile.
Personalmente mi considero amico della scienza, soprattutto quando è impegnata nella ricerca della verità ( per quanto è possibile per l’uomo )
Come ho già detto, il mio scopo è quello di “ normalizzare” la vostra “patologia”, di riportarla all’interno del repertorio di pensieri, emozioni e comportamenti “ umani e normali”, sperando che le mie intenzioni vadano a buon fine.
- Le ossessioni sono quasi sempre accompagnate da compulsioni, cioè da atti, pensieri, rituali che hanno lo scopo di neutralizzare, in modo magico, il pericolo che ossessiona la mente.
Ma “andrà tutto bene” non è un rituale un po’ magico che si è diffuso in modo compulsivo?
Può anche darsi che faccia bene, che tranquillizzi un po’ le persone; come del resto tentano di fare tutte le vostre compulsioni.
Certo, vi sono anche differenze tra il vostro modo di pensare e di sentire e la “ normalità”: qui e ora c’è un pericolo concreto: il virus, per quanto invisibile, può essere vicino a noi, mentre le vostre paure sono di solito improbabili, sono più pensieri di situazioni pericolose che pericoli reali. Il più delle volte sono ipotesi statisticamente insignificanti, anche se non arrivano mai all’impossibile, alla probabilità zero.
Non è una differenza di poco conto, ma resta la somiglianza.
Perciò provate ad utilizzare questo momento per molti versi drammatico per guardare a voi stessi in maniera più accogliente, per non sentirvi “ malati”, ma solo “ esagerati”. E se riuscite a “ normalizzarvi”, provate a convincere chi vi sta accanto che la differenza tra normali e nevrotici è molto sottile.
Con l’augurio di un po’ di pace ( soprattutto con voi stessi ) vi saluto affettuosamente
Un amico psichiatra
Una vacanza particolare
Pubblicato da redazione
Fonte : “Report di un’esperienza di psicoterapia di gruppo integrativa residenziale” di Mario Mulè
Alla fine, resta solo la gentilezza ad avere un senso…
è solo lei che, tra la folla del mondo, alza la testa e dice:
“E’ me che stavi cercando”.
E da allora ti segue ovunque, come un’ombra o un amico…
“La mia religione è la gentilezza” ( Dalai Lama )
“Questa esperienza per me è stata una vacanza..” Gianni, uno dei pazienti del gruppo, ha così definito quella esperienza insolita di terapia di gruppo: insolita perché realizzata in una dimensione non abituale per il luogo ( una fattoria sociale lontana dai rumori del quotidiano ), per il tempo ( dal venerdì pomeriggio al sabato pomeriggio ), per le pratiche terapeutiche ( si sono alternati psicodramma, gruppoanalisi e mindfulness, spesso intrecciando tra loro queste esperienze ).
Ma non è riduttivo e deludente definire una esperienza di terapia intensiva una vacanza?
No! Se si guarda ad una vacanza come ad una condizione in cui gli affanni quotidiani cessano, per lasciare spazio ad una condizione di libertà interiore e di pace.
Il gruppo: era composto da sei pazienti, che avevano già vissuto una lunga esperienza di terapia condotta secondo un modello ad ispirazione gruppoanalitica, ma con alcune varianti “ trasgressive”. I partecipanti al gruppo avevano infatti la libertà di sentirsi e vedersi al di fuori del gruppo, purchè quanto succedeva venisse poi riportato dentro il gruppo. Ma l’aspetto più rilevante è stata la trasformazione dell’altruismo e della solidarietà tra i partecipanti in azioni concrete di aiuto: una paziente gravemente depressa che viveva sola è stata ospitata da una persona del gruppo; un paziente in gravissime condizioni economiche è stato aiutato in vari modi, con prestiti di denaro e con l’affidamento di piccoli lavori adeguatamente retribuiti.
La solidarietà non poteva certo limitarsi ai partecipanti: il conduttore ha posto come regola del pagamento ( per altro fissato in tariffe assai modeste ) che avrebbero pagato solo coloro che potevano. Di fatto, due dei partecipanti sono venuti regolarmente per un periodo di circa due anni in modo del tutto gratuito.
Le diagnosi psichiatriche erano le seguenti: disturbo bipolare( con pregresso tentativo di suicidio tramite defenestrazione dal terzo piano), depressione ricorrente, alcolismo e disturbo dipendente di personalità, disturbo ossessivo, fobia sociale, disturbo di personalità con prevalenza di tratti borderline, depressione cronica.
Agorafobia: aperture al superamento di confini teorico-tecnici
Pubblicato da redazione
Fonte: Agorafobia: aperture al superamento di confini teorico-tecnici, di R. Aurora Mineo
Nel trattamento dei disturbi d’ansia, il clinico trova di frequente, nell’accogliere il paziente, l’emergenza del sintomo come dimensione prevalente che può arrivare ad occupare tutto – o quasi – lo spazio del pensabile. Nel disturbo da attacchi di panico – ad esempio – può essere la paura del successivo episodio, vissuto come catastrofico, nell’agorafobia può essere la continua preoccupazione per tutte le situazioni che si “devono” evitare, lo sforzo per tenere a bada gli aspetti prevedibili e imprevedibili di ogni situazione.
Per il terapeuta ciò si può tradurre nella difficoltà a creare un’alleanza terapeutica se non prendendosi cura adeguatamente e direttamente del sintomo.
Nel lavoro clinico che presenterò l’applicazione di un modello “misto”, integrato (cognitivo-comportamentale, analitico-transazionale e sullo sfondo psicodinamico, per il lavoro sul transfert e i riferimenti alla teoria dell’attaccamento) viene concepita nella strategia terapeutica come risposta possibile ad una “emergenza sintomatica”. Trattare tale emergenza consente di passare poi ad un lavoro più profondo sui modelli operativi, veicolato attraverso la relazione terapeutica e l’analisi degli schemi relazionali per dare significato al sintomo ed al nuovo percorso evolutivo iniziato in terapia.
Vediamo innanzitutto il caso, per passare all’interpretazione clinica dei dati ed alla strategia di trattamento.
Decostruzione nosografica in un campo gruppale: peculiare rammendo di una vita nella tessitura dei sogni
Pubblicato da redazione
Fonte : “Decostruzione nosografica in un campo gruppale:peculiare rammendo di una vita nella tessitura dei sogni” di Gerardo Di Carlo e Lorenzo Mosca pubblicato in www.rivistaplexus.it
Le diagnosi di Rita
La documentazione sulla storia clinica di Rita inizia dal primo ricovero a Roma a fine dicembre 1992; dalla paziente ci sono state riferite notizie poco circostanziate rispetto ai precedenti contatti con i servizi di igiene mentale.
Dalle cartelle di ricovero si può osservare un’estrema volatilità dei quadri clinici, che variano sia tra i differenti servizi, sia all’interno dello stesso ricovero. Ripetutamente emerge la sensazione degli operatori sanitari di essere di fronte ad una donna che finge, che ha un’attitudine manipolativa e la cui sintomatologia varia secondo i sintomi che le vengono suggeriti. A queste intuizioni non fa seguito, però, un approfondimento che chiarisca la reale situazione di vita della paziente. Continua..
Il corpo in psicoterapia
Pubblicato da redazione
Fonte: ” Il corpo in psicoterapia” Mario Mulè (IV Convegno Allievi COIRAG )
Anche se nessuno di noi può averne ricordo, è pur vero che il nostro primo incontro con il mondo è stato annunciato dal grido e dal pianto.
Ed ancora per molto tempo siamo rimasti senza parola, ma non certamente senza il bisogno e la capacità di comunicare quelle intense emozioni che vivono in ogni bambino. Non avevamo la parola, ma c’era il corpo: braccia da protendere, gambe per sgambettare e poi il riso, il pianto, l’urlo. Si dice che il grido che si fa canto, ma anche il movimento del corpo che diventa danza, abbiano radunato gli uomini quando ancora il logos, il discorso altro non era che un incerto balbettio.
Ecco cosa dice al riguardo E. Saverino: ” …l’intera vita dei popoli più antichi si raccoglie attorno alla rievocazione del grido, cioè attorno al canto; e il canto avvolge i viventi ben più strettamente del calore dei fuochi attorno a cui essi stanno.”
Ma se è vero che il linguaggio del corpo si impone sin dall’inizio e non smette mai di inserirsi, magari clandestinamente, nei nostri scambi con il mondo, dobbiamo anche considerare che cultura e religioni nel tempo gli hanno assegnato spazio e valore assai diversi. Continua..