L’umanesimo di E. Fromm
Pubblicato da redazione
Fonte: “L’umanesimo di E. Fromm” di Romano Biancoli
Ogni psicoterapia esprime una concezione dell’essere umano e la agisce secondo modalità che recano un retroterra di conoscenze e di convinzioni, che a sua volta cresce sull’esperienza clinica. L’approccio psicoterapeutico di Fromm matura nella sua lunga attività di psicoanalista, che non solo si affina via via in modalità sempre più efficaci, ma anche gli offre il supporto indispensabile alle sue considerazioni teoriche, tanto che egli stesso dichiara di non prescindere mai, nei suoi scritti, dall’osservazione critica del comportamento umano durante il lavoro psicoanalitico. In questo però Fromm porta un occhio esercitato anche in un altro laboratorio: la scena storica. Nato nel 1900 a Francoforte, morto nel 1980 a Muralto, ha vissuto il drammatico svolgersi degli eventi con vigilanza estrema fin da fanciullo che, ebreo, già saggiava la crudezza dei tempi. Studioso dei fenomeni sociali, gli viene riconosciuta un’alta competenza, per diretta e lucida testimonianza, specialmente su due periodi storici, l’avvento del nazismo e la democrazia consumista americana, che forniscono alla sua indagine multidisciplinare tratti emblematici della condizione umana e spingono a considerazioni più generali, travalicanti l’ambito da cui sorgono. La complessa attrezzatura scientifica di Fromm, psicoanalisi, antropologia, sociologia, economia, storia delle religioni, non spiega tutta la sua originalità di intellettuale, che sta in particolare nell’esprimere nel linguaggio di oggi, e quanto sia toccante lo dimostra la diffusione dei suoi libri, contenuti di sempre, che in maestri d’umanità, profeti biblici, Socrate, Buddha, Cristo, mistici cristiani, Spinoza, Marx, Albert Schweitzer, Ghandi, ebbero voce, nello spirito di accettazione, di fiducia e di speranza che informa ogni visione umanistica. Il problema della scientificità di questo procedimento trova risposta nella coerenza interna del pensiero frommiano, nel metodo induttivo che gli è proprio, con la costruzione delle ipotesi su basi cliniche o su basi storicoeconomiche e statistiche, con la verifica empirica delle ipotesi stesse e dei loro sviluppi . Quanto alle scelte di valore, il problema che si pone non è di scientificità, ma di rispetto dei dati scientifici. Fromm nulla afferma in contrasto con le scienze del suo tempo. I risultati della ricerca scientifica confortano la visione umanistica che da millenni ricorre nella storia e che in questo secolo si connota per i suoi riscontri negli studi sul l’evoluzione dei primati. In questa risultano due tendenze:la determinazione sempre meno istintuale del comportamento e la crescita del cervello, particolarmente della neocorteccia. L’uomo è il primate fornito della minima dotazione istintuale e del massimo sviluppo cerebrale . La singolare emersione biologica diventa un dato delle situazione umana, intrinsecamente incongruente: far parte della natura e insieme trascenderla, proprio per la debolezza istintuale e la consapevolezza di sè, estranea a ogni altro animale. L’armonia è rotta, il mondo dell’uomo è il mondo del conflitto. Fromm colloca la sua analisi esistenziale della situazione umana nella frattura che vive dentro l’uomo: essere natura e averla trascesa definitivamente. La situazione umana manifesta la natura umana, che non è mai osservabile in quanto tale, ma solo nei fenomeni, nei comportamenti individuali e sociali che la esprimono. L’osservazione antropologica e psicologica offre un quadro sperimentale, dal quale costruire un modello della natura umana, alla cui definizione pensò per primo Spinoza, cioè un modello teorico le cui leggi siano verificabili empiricamente . La situazione umana appare costellata di “dicotomie esistenziali”, contraddizioni ineliminabili a cui si può solo reagire a seconda dei caratteri individuali e delle società. La dicotomia di fondo è quella tra la vita e la morte, che reca il tragico conflitto tra la finitezza dell’ambito esistenziale di ogni individuo e le sue potenzialità che in latenza racchiudono quanto è esperibile dall’intera umanità. Inevitabile e doloroso è anche il conflitto tra il bisogno dell’individuo di sperimentare la propria unicità a prezzo della solitudine e il suo bisogno di appartenenza. Insolubili sono queste contraddizioni, a differenza di altre, che sorgono dalla prassi, dalla storia, e sono quindi transeunti, toglibilí. Le ideologie confondono i due ordini di contraddizioni, assolutizzano ciò che è storico, nascondono il vero sul piano collettivo, come sul piano individuale le razionalizzazioni appannano la visione, distorcono la realtà. Il rifiuto continuo delle illusioni ideologiche e razionalizzanti scopre la radice conflittuale permanente dell’esistenza umana, da cui incessantemente sorge una domanda e il bisogno di una risposta. In questo continuo interrogarsi e cercare una risposta che si ribalta in domanda sta la natura umana . Qui è la radice del qualificativo radicale dell’umanesimo di Fromm. La sua costruzione parte dal presupposto che esista una natura umana come caratteristica della specie umana, comune a tutti gli uomini, i quali presentano una stessa anatomia e una stessa fisiologia, tanto che un medico non penserebbe mai di ricorrere a mezzi terapeutici diversi a seconda della razza e del colore dell’ammalato. Il genere umano come unità, poichè i suoi individui sono dotati di una medesima struttura psichica, spiega la comprensibilità delle diverse culture, anche le più lontane, della loro arte, dei loro miti, dei loro drammi . Fromm trova conferme alle sue premesse nella religione giudaicocristiana, nel buddismo, nei pensatori del rinascimento e dell’illuminismo. Egli definisce umanistiche le religioni e le teorie etiche che si fondano sul sentimento di fiducia nelle possibilità umane cui corrisponde l’impostazione di pensiero che riconduce all’uomo ogni sua espressione e ogni prodotto della sua attività; in esse domina un clima di gioia, che infonde coraggio e fede e sollecita all’autorealizzazione e all’amore. Autoritarie invece sono per Fromm le religioni e le norme etiche in cui prevalgono esigenze estranee all’uomo, al quale si richiedono obbedienza e senso di colpa, dolore e autoumiliazione. Le religioni, intese come “schemi di orientamento e devozione”, cioè non necessariamente teistiche, sono risposte complessive all’impellenza delle domande di fondo dell’uomo, il quale per vivere ha bisogno di sostituire la continuità9 con la natura, che la sua esistenza interrompe, con un rapportarsi complessivo al mondo sia in termini di pensiero che di emozioni e di sensi, ha bisogno, per colmare l’intima frattura, di “devozione a un oggetto” e di “rituale”. Tale necessità presenta due gradi: l’urgenza di placare in qualsiasi modo gli interrogativi drammatici che scaturiscono dalle “dicotomie” dell’esistenza umana; l’inquietudine che reca la risposta data e l’esigenza di verità che porta all’esercizio della ragione, quale facoltà esclusivamente umana di “afferrare” il mondo con il pensiero, e non semplicemente di “manovrarlo”, come può l’intelligenza, che non è solo dell’uomo . Le verità umane che la ragione scopre implicano angoscia, da cui le illusioni consentono la fuga. I processi che allontanano l’uomo dalla sua realtà sono sottili e inconsci. Uno dei più diffusi sta nel separare un concetto dalla vivente esperienza che esso esprime, in modo che questa si perda e non alimenti più la rappresentazione mentale che diventa fittizia e sostitutiva della realtà. Gran parte dell’esperienza umana, individuale e collettiva, resta inconscia, trattenuta da “filtri” sociali che selezionano i contenuti che accedono alla coscienza. Vengono specialmente vagliate le percezioni sottili e complesse, a seconda dei loro significati. Determinante funzione di filtraggio è svolta dalla lingua. Il vocabolario può non offrire parole per date esperienze e presentare una ricca gamma di vocaboli per altre, che diventano coscienti in tutta la loro complessità di sfumature. Anche la grammatica, la sintassi, l’etimologia consentono alle varie lingue differenti modi di percezione ed assunzione consapevole delle esperienze. Un altro filtro è quello logico, che sulla base di regole di pensiero porta a scartare dalla coscienza tutto ciò che appare illogico. Un terzo filtro riguarda i contenuti che vengono sperimentati, esistendo in ogni società, dei tabù che impediscono la consapevolezza di dati pensieri o sentimenti. Profonde sono le dinamiche che falsificano la realtà nelle ideologie. La concettualizzazione dell’esperienza, indispensabile alla comunicazione e alla vita sociale, comporta il rischio permanente della scissione del vissuto dal pensato, il quale si estrania in esistenza autonoma. Un contributo alla ideologizzazione viene anche dalla tendenza del pensiero umano a sistemare e completare, poichè la precarietà dell’uomo lo spinge a ricercare la certezza. I “frammenti” di realtà accertata vengono collegati a sistema, riempiendo artificialmente i vuoti con aggiunte che arrivano spesso a seppellire le parti di verità, e si organizzano in visioni falsate che tolgono all’uomo il contatto con se stesso e gli impediscono di comprendere in termini reali la situazione in cui vive. Fromm definisce questo modo di esistere come alienato. L’individuo diviene estraneo a se stesso e si esclude da un rapporto vivo con gli altri, che restano ridotti a cose e conosciuti come tali. L’essere umano crea le cose e anzichè divenirne il signore se le vede rivoltate contro, potenti e ostili, non le controlla, non si rende conto che lui le ha prodotte in un rapporto di vita che gli sfugge e si commuta in un rapporto di morte, poichè le cose staccate e non più vive lo dominano e lui ad esse si inchina e le adora. Fromm è esplicito: l’alienazione è idolatria e la moderna società dei consumi è idolatrica. La categoria dell’alienazione è molto importante nel pensiero di Fromm perchè regge la delineazione di quadri patologici e pone alla base della terapia il processo liberatorio di riconquista della fonte viva dell’esistenza umana. L’umanesimo è intrinsecamente biofilo, parla nell’interesse di vita dell’uomo, che può agire le sue potenzialità e divenire se stesso pienamente solo togliendo i veli alla sua situazione, “risvegliandosi” alla sua realtà.
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