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Epistemologia Familiare ai Disturbi di Personalità

Fonte: “Epistemologia Familiare ai Disturbi di Personalità: un vincolo alla diagnosi e alla formazione in psicoterapia” di Corrado Pontalti

Il tema della diagnosi travaglia il sapere psichiatrico in ogni epoca. La diagnosi è intrinsecamente una epistemologia ed è retta da categorie del pensiero ancor prima che da procedure operazionali(13,14). A differenza della diagnosi in medicina che è fortemente ancorata alla condivisione, nella comunità scientifica, di un sapere cumulativo sull’oggetto (il corpo e le sue funzioni biologiche) la diagnosi in psichiatria è ancorata al modello interpretativo degli eventi psicologici e psicopatologici. Tali modelli sono numerosi, non omogenei, più simili a cluster di fenomeni che a dati evidenziabili ed interpretabili in maniera sufficientemente univoca. Ne consegue che il progetto di gestione terapeutica di evenienze psicopatologiche o sofferenze esistenziali tende ad essere iscritto entro la triade: modello della mente, modello della patologia, modello del cambiamento.

La formazione è quindi strettamente correlata ai vincoli epistemologici appena segnalati.

2. Formarsi..a..?

Il campo variegato entro cui si iscrive il sapere psicologico e psichiatrico rende estremamente problematico il concetto di formazione. Vi sono due grandi indirizzi che si intersecano, si sovrappongono e, paradossalmente, si elidono a vicenda:

a) La formazione viene intesa come competenza a gestire un particolare modello di intervento. Tale modello è definito da una teoresi generale sugli epistemi interpretativi e da procedure che vengono erroneamente definite “tecniche”. Le procedure sono a loro volta paradigmi definitori sulla costituzione del campo terapeutico e sulle modalità di gestione del processo terapeutico stesso. Definisco erroneo il parlare di “tecniche” perchè tale locuzione rimanda automaticamente al “quid agendum”, nella evenienza tale o nell’evenienza tal’altra. Gli allievi invitano sempre ad informazioni sul cosa fare, laddove la vera fatica è nel pensare alle variabili in campo e dopo aver formulato un pensiero cercare la procedura più isomorfa con la situazione in atto.

Le teoresi generali sugli epistemi interpretativi sono in sè degli a-priori la cui elicitazione può risultare difficile in quanto esse tendono ad un certo grado di ideologizzazione. Esempi di teoresi sono: mondo intrapsichico versus mondo relazionale; enfasi sull’hic et nuc versus storicizzazione; campo terapeutico duale versus campo terapeutico collettivo (familiare o gruppale che sia); avvio del progetto di cura solo se il paziente è presente versus avvio comunque con chi sia disponibile….etc. etc.

Secondo questo primo indirizzo il centro gravitazionale della formazione è la formazione ad un sapere (epistemologia) da cui deriva un modello (variabili costitutive del campo terapeutico e del relativo contratto).

b. La formazione viene intesa come competenza a gestire un particolare tipo di psicopatologia. Questa seconda accezione è di fatto la più complessa e la più controversa. Si può affermare che tutta la storia della psicoterapia scientifica, dai primi anni della psicoanalisi (fine ‘800) fino alla esplosione delle psicoterapie dopo la Seconda Guerra Mondiale ruoti attorno al tentativo di costruire nosografie coerenti con gli assunti centrali dei vari indirizzi. Tali operazioni, sempre più complesse e sofisticate, hanno prodotto una grande mole di conoscenze accanto ad una babele terminologica che rendeva e rende ardua la comunicazione tra professionisti. Il grande patrimonio costruito consiste nello sforzo di cogliere elementi strutturali della normalità e della patologia, nello sforzo di arrivare al cuore delle configurazioni, ai noccioli duri. I noccioli duri sono operatori che organizzano sequenze di eventi psichici, ma soprattutto sequenze di caratteristiche stabili attraversanti la multiforme fenomenologia degli apparire fenomenoci (i sintomi, comunque si vogliano intendere e descrivere).

3. Le nosografie

Nei decenni sono venute configurandosi due grandi nosografie a derivazione dai sistemi psicoterapeutici: le nosografie riferite al soggetto, le nosografie riferite alle famiglie. Le nosografie riferite al soggetto sono sostanzialmente raggruppate in quelle a derivazione psicoanalitica e in quelle a derivazione cognitivistica. Le nosografie riferite alla famiglia sono adese ai modelli interpretativi ed operazionali delle singole scuole. Tali nosografie vanno ad evidenziare aspetti caratterizzanti il funzionamento familiare come sistema e si organizzano attorno a costrutti generali (confini e gerarchie, chiarezza o patologia nelle transazioni comunicazionali, coesione e adattabilità, e così via). E’ interessante notare come i ricercatori si siano molto impegnati nel costruire strumenti e disegni sperimentali capaci di normativizzare le conoscenze sull’oggetto famiglia e sulle transazioni che lo animano nella storia del ciclo di vita e in relazione a compiti evolutivi specifici. Paradossalmente è più ricco ed avanzato il campo di ricerca sulla famiglia e sui processi di funzionamento familiare, in situazione patologica e non (11,45,48), che quello derivato dai contesti terapeutici duali. Vi è una logica in questa differenza: le terapie duali sono nate sotto il codice della riservatezza, della intimità nella relazione, della privatezza nella condivisione; le terapie familiari da sempre sono contestualizzate in spazi aperti (specchio unidirezionale, videoregistrazioni, equipe di supporto/condivisione, consulenze in tempo reale(3), compiti prefigurati con cui confrontare le famiglie…).

Si comprende quindi come le nosografie familiari siano ancorate attorno a fenomeni relazionali evincibili da compiti od a processi valutabili da osservatori indipendenti e per certi versi riduplicabili come disegno sperimentale. A questo vantaggio si accompagna un problema di difficile soluzione appena si tenta di coordinare la fenomenologia transazionale con le variabili intrapsichiche dei membri della famiglia. Il tasso di inferenza ritorna elevato. Ne consegue che le nosografie a base familiare (e le conseguenti operazioni diagnostiche) si pongono in discontinuità conoscitiva e categoriale rispetto alle abituali nosografie psichiatriche. La Psicopatologia Descrittiva(46) e quella Fenomenologico-Esistenziale(8) danno senso all’esperienza soggettiva entro le grandi figure della psicopatologia stessa (delirio, depressione, mania, vissuto del tempo e dello spazio). Coordinare questo sapere con i cluster fenomenici familiare è un problema che non si è di fatto risolto. Vi sono alcune linee epistemologiche che offrono dati e costrutti promettenti. Ricordo quelle più significative prima di esporre il modello a cui facciamo riferimento e attorno a cui poniamo le riflessioni sulla formazione alla diagnosi e al trattamento.

1) Storicamente lo studio più antico ed a impostazione longitudinale è quello di Robert Beavers e coll. sul come misurare la competenza familiare in covariazione con lo stile di relazione ed interazione(7). Ne risulta una nosografia a cluster con le seguenti categorie: famiglie ottimali, famiglie adeguate, famiglie intermedie centripete, centrifughe e miste, famiglie borderline centripete e centrifughe, famiglie gravemente disfunzionali centripete e centrifughe. Beavers ne studia la distribuzione statistica in campioni clinici e non clinici.

2) Innovativo è il complesso progetto di ricerca e di intervento clinico denominato Yale Psychiatric Institute Family Study (YPIFS)(15) basato sull’integrazione tra i costrutti delle Emozioni Espresse e le teorie più moderne sull’Attaccamento (20,24) alla luce di un vertice sempre più valorizzato: lo studio dei meccanismi della trasmissione dei pattern di attaccamento multigenerazionali e di come si organizzano le rappresentazioni mentali del Sé in relazione alle figure di attaccamento nello scorrere delle generazioni. Doane e Diamond incrociano i pattern di attaccamento multigenerazionali e le rappresentazioni affettive del Sé con l’Affective Style delle transazioni familiari attuali e offrono una tipologia familiare a tre cluster: famiglie a bassa intensità, famiglie ad alta intensità, famiglie scollegate. Per il clinico la parte più usufruibile della ricerca è l’accurata descrizione della pianificazione dei trattamenti e delle tattiche precise per ogni tipo di famiglia. In questi lavori viene enfatizzato il vincolo tra progetto multidimensionale di cura e tipologia nosografica rispetto a variabili contestuali (dinamica dell’attaccamento nella spirale intergenerazionale, rappresentazioni fantasmatiche del Sè, Stile Affettivo nella transazione familiare). Viene così ad essere questionata l’illusione ideologica che i tipi di trattamento psicoterapeutici siano trasversali od indifferenti alle caratterizzazioni psicologiche e psicopatologiche delle singole situazioni di malattia. Ne consegue l’ importanza di una accurata fase diagnostica: a) sulle rappresentazioni del Sé e sui meccanismi di difesa ( versante intrapsichico), b) sulle spirali intergenerazionali delle dinamiche dell’ attaccamento ( relazioni psichiche tra generazioni), c) sulla dinamica degli affetti nelle transazioni attuali (livello relazionale comunicazionale e simbolico). Tale accurata fase diagnostica permette la pianificazione specifica dei trattamenti e delle tattiche di gestione dei processi terapeutici.

Per il proseguio del nostro lavoro è interessante soffermarsi sulle caratteristiche del campione (n.53 pazienti) del progetto YPIFS. I pazienti sono giovani adulti ed adolescenti con convergenza di gravi sintomi psichiatrici (Asse I al DSM-III) e patologia intrattabile del carattere (Asse II) così distribuiti secondo la nosografia del DSM-IIIR: 22 schizofrenici, 9 disturbi affettivi, 4 abusi di sostanze, e ben 18 Disturbi Borderline di Personalità. Risulta quindi chiara la polarizzazione sulle patologie gravi del carattere e l’alta incidenza campionaria del Disturbo Borderline di Personalità (DBP).

Il nostro studio si è, negli anni, orientato sui medesimi problemi introducendo una concettualizzazione che potesse porsi a ponte tra l’organizzazione mentale intrapsichica e la configurazione dei campi mentali familiari. Abbiamo quindi proposto una teoresi definita gruppoanalisi familiare (37) imperniata attorno al costrutto di matrice familiare strutturale e di interconnessione(41). Più avanti la riassumeremo in brevissime linee. L’evoluzione di tali studi ci ha condotto ad interessarci del costrutto Persona, Personalità come focus gravitazionale per formulare ipotesi sulla significazione basica dei Disturbi di Personalità. Vediamone le varie sfacettature.

4. Individuo, Persona, Personalità e Matrice Familiare

La nozione di individuo nasce nella cultura occidentale durante il secolo scorso. E’ progrssivamente concepito un affrancamento della persona dalle proprie matrici di appartenenza, matrici sociali, familiari, affettive. Tutte le scienze umane, da quelle psicologiche a quelle giuridiche ed economiche vanno ad identificare nell’individuo il soggetto refenziale ultimo (16). Nasce il costrutto di mondo interno studiato dalla psicoanalisi secondo l’assunto esplicito della separazione-individuazione. L’individuo è la persona la cui valorialità è rappresentata dall’essere norma a se stesso. Dopo la 2° Guerra Mondiale esplode la contraddizione tra famiglia e individuo e la famiglia diviene l’anello debole del pensiero sociale(39). Il movimento di psicologia e terapia familiare sembra quindi configurarsi quale agenzia antropologica deputata a dare significazione alla relazione tra l’individuo e la sua famiglia, a dare significazione all’antinomia tra una appartenenza forte (l’individuo appartiene a se stesso) ed una appartenza apparentemente indebolita (l’autonomia dalle reti familiari). Si comprende, soprattutto negli ultimi anni, che la trama di connessione tra l’individuo e la sua famiglia non è solo di ordine sociologico (affrontare compiti) o interazionale (dialettica di ruoli, di status, di affetti ed emozione), ma è soprattutto dell’ordine del simbolico(34). Definire l’appartenenza come registro simbolico trasforma in evento culturale quello che gli studi etologici definiscono attaccamento e/o sistemi motivazionali innati ed invarianti. Appartenere ad una rete di legami simbolici affettivamente investiti comporta fondare il sentimento di Sé sulla condivisione profonda, spesso implicita o inconscia, di operatori mentali generatori di senso. Il piccolo della specie sapiens è attraversato dalle reti di significazione della nicchia etologica (famiglia) entro cui nasce. Il compito evolutivo specie specifico è quello di poter abitare nicchie etologiche diverse e sempre più ampie(5,17,47). Definire diversa una nicchia etologica vuol dire che gli ambiti diversi di appartenenza sono significati da referenti simbolici ed operazionali discontinui con altre nicchie etologiche. Definire più ampia una nicchia etologica vuol dire abitare un campo mentale definito da reti di simbolizzazione più comprensive degli elementi strutturali presenti sulla scena stessa. L’ambiente uterino è una nicchia, lo spazio aperto dopo la nascita è una nicchia discontinua rispetto all’utero La culla è una nicchia, l’asilo una nicchia discontinua. La casa familiare è una nicchia, il gruppo dei pari nell’adolescenza è una nicchia discontinua rispetto alla casa. Entro il campo semantico (cioè esperienzale, emozionale, affettivo, cognitivo) della relazione di accudimento materno (allattamento e cura) si muovono altri personaggi (padre, nonni, fratelli, amici di famiglia etc.) che vengono progressivamente raggiunti dalla matrice di significazione, vengono progressivamente strutturati (matrice strutturale) nella mente del piccolo come fondazione relazionale del Sé e delle sue rappresentazioni. Il coordinare queste nuove significazioni amplia il campo psichico della nicchia etologica.

Si pongono a questo punto due ulteriori costrutti essenziali:

a) il piccolo modifica il campo mentale, cioè la matrice strutturale nel momento stesso che viene concepito il desiderio del figlio, il progetto o accadimento del concepimento, l’evento nascita. E questa continua recursività simbolica modifica il senso mentale, antropologico, sociale della nicchia primitiva stessa (38).

b) la famiglia è attraversata da significanti collettivi dai quali riceve senso e rispetto ai quali definisce numerosi operatori psichici specifici della propria struttura intima, interna(44). Questi significanti collettivi sono distinguibili concettualmente in due ordini:

– la storia della cultura socio-antropologica di una data epoca storica, entro raggruppamenti umani definiti;

– la trama di connessione (matrice di interconnessione) con gli eventi transgenerazionali e transpersonali delle generazioni familiari precedenti nella dinamica delle parentele dei due coniugi.

Di fatto questi due piani sono indistricabili ed indistinguibili nella dinamica intrapsichica del Sé e nella dinamica della matrice strutturale della famiglia attuale.

Le riflessioni esposte in questo lungo escursus sono necessarie per cogliere la differenza concettuale tra individuo e persona.

L’Individuo è definito da una configurazione operazionale del Sé che si colloca di fronte alle trame collettive, le riassume in sé, ne assume la responsabilità secondo le norme, regole, leggi, costumi che danno senso all’identità come cittadinanza nel sociale.

Per il fatto di esistere l’individuo è definito da diritti, da doveri, da identificabilità sociale, qualunque sia egli stesso nella irripetibilità del suo esistere come Persona.

Il costrutto Persona è definto dalla stratificazione dei significati che si vanno costruendo lungo le trame simboliche delle matrici familiari strutturali e delle matrici familiari di interconnessione (40). Quindi la Persona è concepita dal pensiero collettivo a cui dà il suo apporto ovviamente l’individualità del soggetto nella dinamica evolutiva. La soggettualità è quindi la caratteristica fondante la persona ed è costituita contemporaneamente dalla rappresentazione del Sé come autonomia e dalla rappresentazione del Sè come relazione affettivamente investita (26). La persona è un portato del pensiero collettivo e ne definisce il posto nella trama simbolica di significazione del collettivo stesso(23). I riti di passaggio, quali studiati nelle culture tradizionali o nella nostra occidentale in altre epoche storiche, avevano proprio la funzione di definire il posto simbolico dell’individuo nella trama del sociale e della parentela. L’ esilio, in tutte le sue forme possibili, era la pena peggiore proprio perchè il sociale toglieva ad un individuo il suo posto simbolico nella collettività (nicchia etologica) di appartenza.

La Personalità è un costrutto sfuggente(4).

Noi definiamo Personalità le modalità conoscitive, affettive, operazionali tramite le quali si manifesta la Persona all’interfacie (confine) tra la rappresentazione intrapsichica del Sé e la rappresentazione intrapsichica del Sociale. La personalità va quindi ad identificare le procedure stabili con cui una persona dà senso a Sè, all’Altro da Sé ed alla relazione tra le due polarità.

Persona e Personalità sono quindi in continuità efficiente e parlano, come semeion forte ed irriducibile, delle vicissitudini delle matrici strutturali e di quelle di interconnessione. In altre parole Persona e Personalità parlano del Familiare(12), parlano dei campi mentali familiari, parlano dei referenti simbolici rispetto ai quali si è svolta la spirale transgenerazionale e transpersonale(25). Questi concetti non sono abituali per lo psicoterapeuta ma vanno a costituire il fondamento di quella scienza così vicina alla nostra che è l’antropologia. Da Marcel Mauss (27), passando per Levy-Strauss, fino allo studioso più importante attuale che è Clifford Geertz(19) se desideriamo cercare un ponte tra epistemologia dell’individuo e quella della famiglia, che non sia di semplice giustapposizione, è qui che noi dobbiamo cercare(22).

Possiamo ora confrontarci con i Disturbi di Personalità.

5. I Disturbi di Personalità: ipotesi per una teoria familiare

E’ estremamente significativo il viraggio concettuale che hanno apportato i DSM-III e seguenti con l’introduzione di un secondo Asse non riservato alla fenomenologia clinica abituale dei disturbi mentali studiati nelle tradizionali psicopatologie e nosografie. Lo sforzo di identificare, secondo metodologie categoriali (cioè secondo un assunto di discontinuità), aspetti fondativi della Persona ha prodotto una messe di studi e di teorizzazioni prima dispersi in una generica, anche se ricca, ricerca di tratti, di difese, di tasselli strutturali(28,35). Le procedure psicoterapeutiche acquistano condivisibilità e specificità proprio rispetto al vincolo forte dato dai Disturbi di Personalità (6). Essi parlano della struttura psicologica del Sé e quindi sono,almeno come ipotesi, il vero oggetto della ricerca e della clinica psicoterapeutica(21).

Gli stessi principi epistemici e il medesimo sforzo di correttezza metodologica sperimentale sono presenti nelle categorizzazioni familiari di Beavers e di Doane, Diamond(7,15). Ecco perchè ho presentato questi grandi filoni che possono offrire un pensiero accomunante tra caratterizzazioni di personalità individuale e classificazioni di “personalità familiare” (se mi è concesso questo bisticcio linguistico).

Se compito della matrice familiare è costituire la persona come individualità che appartiene a una storia simbolica possiamo concettualizzare i disturbi di personalità come fallimento, più o meno grave, della dialettica tra appartenenza e separazione/individuazione a trame simboliche e simbolopoietiche.

Ciò significa che il disturbo di personalità parla, forse, di vicende familiari ed esprime in nuce l’organizzazione disfunzio¬nale della matrice familiare. La matrice familiare, quale trama di significanti che interpretano la storia come trasformazione di senso rispetto al non conosciuto, al non già dato, può essere satura o insatura. La matrice satura crea una relazione biunivoca tra significante e significato: ogni evento ha già il suo codice interpretativo in modo automatico e meccanicistico (nei disturbi più gravi). La matrice insatura pone significanti generali aperti a nuove categorie mobili di significazione.

Il disturbo di personalità sembra quindi fondarsi sulla interiorizzazione di una matrice familiare satura. La diversità di fenomenologia e di gravità del disturbo è segnata dalle caratteristiche storiche delle vicende di vita e dal livello di saturazione.

Se la prospettiva fin qui esposta appare credibile noi ci troviamo nella necessità di approfondire le caratteristiche dei DDP secondo un vertice contemporaneamente antropologico e familiare da un lato ed un vertice intrapsichico dall’altra. Gli studi più approfonditi sui DDP sono stati condotti in ambito psicoanalitico. E’ questo un patrimonio a cui non possiamo rinunciare. Il limite, in questi studi, è quello di tenere conto delle relazioni familiari ma come se si trattasse di variabili universali; manca quindi quella storicizzazione culturale da un lato e quella concretezza che può solo emergere dall’incontro terapeutico con la famiglia, con quella singola famiglia, in quella specifica cultura.

Riflettiamo sul seguente assunto: “I disturbi di personalità sono dimensioni complessive discontinue e non riducibili rispetto alle sindromi psichiatriche. Richiedono quindi un pensiero che non le omogenizzi, come quasi sempre succede, alle sindromi stesse (asse I). Bisogna quindi studiare i DDP nella loro autonomia (18,29,36) con un pensiero che parta dalla costruzione della personalità quale compito del sociale (familiare prima, societario poi). E’ questo l’approccio costruzionistico ben presentato da Inga-Britt Krause(22) e da un numero speciale di Group Analysis(10).

L’analisi sistematica dei disturbi di personalità in terapia individuale, gruppale, familiare condotte dal vertice epistemico gruppoanalitico permette di tentare una risposta al seguente quesito intricante: “è possibile una teoria che unifichi i vari disturbi di personalità quali sono classificati nel DSM-IV (1)?”

Chi scrive si occupa quasi esclusivamente di terapia di disturbi di personalità gravi e nel tempo abbiamo costruito alcune linee guida per una classificazione ragionata. Tale classificazione tenta di accomunare più disturbi (quali sono classificati nel DSM-IV) secondo una ipotesi guida che rimanda alle grandi organizzazioni della vita mentale. Queste organizzazioni sono scelte in base alle caratteristiche con cui si vengono a modulare le relazioni tra il Sé e l’Altro da Sé. Provvisoriamente le abbiamo così identificate e denominate: organizzazione narcisistica, organizzazione schizoide, organizzazione isterica.

L’esposizione dettagliate di tali organizzazioni come fondazione di cluster originali dei Disturbi di Personalità assieme alle linee guida per concettualizzare i progetti terapeutici e le strategie relative sono esposti per esteso in altri scritti a cui si rimanda (32,33,40).

Qui indico brevemente tali cluster, diversi da quelli classici del DSM-IV (odd cluster, dramatic cluster, anxious cluster), secondo le tre organizzazioni generali sopra indicate:

A. Organizzazione Narcisistica della Personalità:

1. Disturbo Narcisistico di Personalità

2. Disturbo Paranoide di Personalità

3. Disturbo Antisociale di Personalità

Questi disturbi sono accumunati dalle caratteristiche strutturali e relazionali, dalle credenze proprie dell’organizzazione narcisistica della rappresentazione del confine interpersonale (31). Esse sono:

a) un sistema di credenze fondato sulla ideologizzazione dell’individualità, vale a dire su di una sostanziale contrapposizione tra il Sé e l’Altro da Sé regolata da una forma del pensiero e dell’emozione sostanzialmente di tipo paranoico (l’altro da sé è il nemico, svalutato o persecutore che sia).

b) una sostanziale inacessibilità ad un progetto terapeutico spontaneo. Costruire progetti terapeutici assieme a qualche familiare più coinvolto nella relazione di sofferenza causata dal disturbo sugli altri, lungo la trama narrativa del comprendere le interconnessioni transgenerazionali può essere l’unica risorsa terapeutica possibile e in cui porre una qualche speranza.

B. Organizzazione Schizoide della Personalità:

1. Disturbo Schizoide di Personalità

2. Disturbo Borderline di Personalità

3. Disturbo Schizotipico di Personalità

Questi disturbi sono accumunati dalle caratteristiche strutturali e relazionali, dalle credenze proprie dell’organizzazione schizoide. Esse sono:

a) una sostanziale chiusura nel proprio universo intrapsichico, fatto di fantasie, fantasticherie ed incubi. L’emozione emergente è la paura, il terrore fino al delirio, la confusione caotica tra il proprio psichismo e quello degli altri, nelle varie nicchie etologiche abitate, in primis quella familiare (ma anche quella terapeutica).

b) un bisogno lancinante di aiuto, una autentica disponibilità a progetti di cura isomorfi con le caratteristiche psicologiche dei disturbi stessi. A volte, come accade di frequente nel DBP, tale bisogno è mascherato dall’esigenza vitale che venga salvaguardato il territorio di sicurezza. Un lungo lavoro con i familiari, senza il paziente, può essere la premessa perchè il paziente si renda accessibile alla terapia.

C. Organizzazione Isterica della Personalità:

1. Disturbo Dipendente di Personalità

2. Disturbo Evitante di Personalità

3. Disturbo Ossessivo-Compulsivo di Personalità

4. Disturbo Istrionico di Personalità

Le caratteristiche comuni, strutturali e relazionali, sono le seguenti:

a) la mente costruisce relazioni ad alto contenuto rappresentativo. Lo spazio relazionale è come un palcoscenico integro e coerente (organizzazione nevrotica del Sé, e non psicotica o psicopatica) su cui vengono rappresentate le vicende umane, intrapsichiche, relazionali, transgenerazionali come se fossero dell’ordine del reale e non di quello dell’immaginario. La memoria simbolica non costruisce trame narrative ma “spezzoni” di memoria incistati in nodi seclusi. Ansia ed allarme sono le emozioni tipiche di questo cluster.

b) La richiesta di aiuto è pressante e genuina; la “fedeltà” al progetto terapeutico è alta. Il buon livello di maturazione complessiva permette una discreta mobilità e libertà nel progetto stesso. Tranne che per il disturbo ossessivo-compulsivo, come dettagliato altrove(40), i pazienti con disturbi di questo cluster rispondono bene a trattamenti personali, individuali o di gruppo che sia.

6. Il pensare la diagnosi di Disturbo di Personalità.

Vi è un assetto mentale assai differente nel porsi di fronte ad un disturbo dell’asse I e ad un disturbo dell’asse II. Abbiamo potuto ripercorrere nelle pagine precedenti il senso dei disturbi di personalità come disfunzione della matrice familiare lungo le trame simboliche del campo familiare attuale e delle connessioni tra i campi mentali intergenerazionali. Ciò significa che si è confrontati con una sfida complessa: bisogna superare la visione individualistica dell’etiopatogenesi per padroneggiare una autentica epistemologia familiare.

E’ quindi indispensabile un processo di formazione che abitui a pensare in termini di disturbi di personalità, cioè a pensare in termini delle categorie del familiare. Tale formazione richiede la capacità di padroneggiare una categoria fondativa dell’ esistere umano: il tempo (30,42,43).

Rispetto a due parametri il tempo diviene ordinatore di pensiero:

il tempo del comprendere (diagnosi) e il tempo dello scorrere della vita familiare (storia)(41). IL tempo era sottovalutato dai terapisti familiari, concentrati sull’hic et nunc dell’interazione nel contesto terapeutico. Dalla fine degli anni ‘80 abbiamo assistito ad un complesso ripensamento che ha ridato alla storia e alle vicende epigenetiche il suo posto corretto, creando quindi connessioni non episodiche con il sapere psicoanalitico e cognitivista(2,9,11,15). Più complessa e controversa è la concezione del tempo della diagnosi come tempo del capire prima di proporre un progetto. Capire entro la dinamica familiare la costruzione particolare, in quella specifica vicenda, delle trame di simbolizzazione, con la sua fisiologia o con i suoi blocchi, le sue paralisi, le sue seclusioni, richiede il padroneggiare modelli euristici variegati, poco ideologizzati, molto duttili(33). Formarsi a tale mobilità del comprendere, a cui si accompagna pari mobilità nelle procedure terapeutiche, non è facile. Non è facile perchè ci si muove sul confine di un continuo interrogarsi; tale confine è costituito sostanzialmente dal rilevare i nodi di forza e di paralisi spaventata quali si evidenziano all’interno dei formati terapeutici e delle procedure terapeutiche stesse. Tali nodi possono richiedere continue variazioni di assetto, sia di assetto psicologico nel terapeuta, sia di assetto nella formazione del set terapeutico. Passare da incontri individuali ad incontri familiari, decidere di lavorare con un membro solo della famiglia (che può anche non essere il paziente) o con diadi (genitore – paziente, paziente – fratelli, genitori da soli, genitori dei genitori o dei coniugi) significa fare leva sui punti di forza senza entrare in rotta di collisione con i punti di fragilità o di eccessiva sovradeterminazione psichica.

Occorre tuttavia essere guidati da una teoria che aiuti a porsi tali problemi e ad organizzare le soluzioni adeguate momento per momento nel lungo andare del progetto terapeutico.

E’ questo l’obiettivo principale che noi poniamo alla formazione dei nostri allievi.

Una breve storia clinica potrà esemplificare questa mobilità dell’assetto mentale del terapeuta.

Marco ha oggi 23 anni. Cinque anni fa i genitori sono venuti al Servizio ad esporre la situazione. Marco viveva isolato socialmente, senza progetti, con crisi di violenza terribile sui famigliari, originate da una profonda angoscia al limite del delirio. Dopo due sedute con i genitori Marco arriva e accetta di partecipare al trattamento familiare. La terapia prosegue da allora a frequenza settimanale. La casa e la terapia sono attraversate da emozioni collettive violentissime, da caos e da paralisi obbediente di fronte a qualsiasi pretesa di Marco. Sono queste le caratteristiche della matrice familiare borderline, quali descritte altrove(48). L’abitudine a pensare in termini di disturbi di personalità mi permette di porre diagnosi di grave disturbo borderline rispetto a tutte le diagnosi precedenti di schizofrenia. A un certo momento arriva la sorella (seduta 40) che non aveva mai voluto partecipare. Si propone come l’unica capace di organizzare confini psichici e comportamentali al fratello. Dopo altre 25 sedute propone di gestire il fratello a patto che i genitori se ne vadano in un’altra casa. Il senso di questa proposta è riconoscibile da parte dei genitori, come maturazione avvenuta nella terapia stessa. Marco reagisce in modo terribile a questa separazione, ma deve piegarsi. L’odio transferale nei miei confronti che avvallo questo passaggio lo porta a lasciare la terapia. Ma noi continuiamo. Marco migliora ed emerge nel tempo una organizzazione patologica di personalità analoga nella sorella. Le prese di posizione dei genitori, a casa e in terapia, la portano a sviluppare una rabbio violenta verso di me (canovaccio analogo al fratello) con paura panica degli stessi discorsi in terapia. Abbandona (febbraio 1995). Ma noi continuiamo. Marco a settembre si iscrive ad un liceo di ricupero; non ha più crisi di violenza; imposta progetti con coerenza e coraggio. Nel dicembre ritorna (dopo due anni e mezzo). E’ commovente il suo miglioramento, la sua capacità di analisi del passato, la coerenza dei suoi processi cognitivi. Ed in sequenza abbiamo: un colloquio individuale con lui, uno con padre e madre, uno tra Marco e il padre, uno con il solo padre.

Sulla scena che non si è mai incrinata del percorso terapeutico sono accadute le variazioni più mobili e riferite ai nodi insuperabili quali emergevano di volta in volta. Tali nodi emergevano, di fatto, proprio come conquiste rese possibili dalla terapia. E solo una epistemologia familiare ai disturbi di personalità ha reso possibile questo lungo, drammatico ma risolutivo, cammino.

Riassunto

La formazione è un processo complesso che può assumere diversi significati. In questo articolo l’autore propone di orientare la formazione alla diagnosi dei disturbi di personalità. I disturbi di personalità sono strettamente connessi con la matrice familiare. E’ nella famiglia e nelle connessioni intergenerazionali che viene fondato la rappresentazione del Sé come Persona. La personalità è un costrutto familiare. Solamente una epistemologia familiare permette di comprendere il senso dei disturbi di personalità. Durante la formazione è necessario abituarsi a pensare in termini di disturbi di personalità e collegare questo sapere alle categorie sul Familiare.

Summary

The training is a complex process with many, different meanings. In this article the Author proposes to direct the training to the diagnosis of the personality disorders. The personality disorders are strictly connected with the family matrix. The rappresentation of the Self as a Person is grounded into the family and into the intergenerational network. Personality is a family construction. Only an epistemology about family mental field sets meaning to personality disorders. Along the training it is necessary to get accustomed to think in terms of personalty disorders connected with a knowledge about the family matrix and network.

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