Resilienza e Corporeità
Pubblicato da redazione
Fonte: “RESILIENZA e CORPOREITA’ ” a cura di Vito Petruzzellis (Relazione presso l’Istituto di Psicologia Funzionale Corporea del 29/11/08)
RESILIENZA E SALUTOGENESI
Resilienza è un termine che ha assunto un significato complesso in campo psicologico, in riferimento ai meccanismi che rendono possibile il superamento di condizioni ed eventi esistenziali particolarmente difficili.
Deriva dalla radice latina “resilire=rimbalzare”, indicante la durezza del metallo nel resistere ai colpi e riprendere forma.
Più di recente, in lingua inglese (resilience) è diventato un termine per indicare una reazione positiva alle esperienze avverse, soprattutto ai traumi psicologici in età evolutiva.
Riprendo due definizioni tra le molte utilizzate:
“Capacità di funzionare in modo adattato e di divenire competenti nonostante si presentino situazioni di vita stressanti”( Patterson)
“Capacità di crescere sano in condizioni di svantaggio”
Il concetto di resilienza si è andato affermando soprattutto nel corso di studi finalizzati a documentare i danni a livello fisico e psicologico a carico di soggetti minori, seguiti ad eventi e situazioni traumatizzanti.
Studi che mutuavano la tradizionale impostazione patogenica di tutta la medicina, cioè la ricerca delle cause di malattia, in questo caso con un orientamento sociale e progressista.
La svolta inizia quasi casualmente, in seguito ad alcuni rilievi inattesi sulla condizione di alcuni soggetti che, nonostante la gravità dei traumatismi subiti, risultavano poi, nelle riverifiche a distanza di tempo, del tutto indenni da patologie (E.Werner, R.S.Smith,”a study of resilient children, Isola di Kauai”,1982 ) Similmente, su altri versanti, capitava di osservare come individui sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti fossero riusciti a mantenere buone condizioni mentali, nonostante le vicissitudini subite.
Comincia allora a delinearsi la capacità di resistere indenni a gravi eventi avversi, quindi con un’accezione di resilienza, come particolare resistenza ai traumi.
Emergeva inoltre che la resilienza non è assoluta ma può modificarsi, in quanto può variare nello stesso individuo in rapporto alla tipologia ed entità del trauma ;ed inoltre non è stabile nel tempo, per cui può anche ridursi al ripetersi di vicissitudini analoghe e però anche incrementarsi.
Un altro importante passaggio avviene con il riconoscere agli eventi stressanti, anche una funzione positiva, nel senso che essi costituiscono, in certe condizioni, un’opportunità di crescita, di rafforzamento delle capacità personali (Aaron Antonowsky, 1984 )
Quest’ultimo rilievo ha portato ad un ulteriore decisivo passaggio, cioè a porre l’attenzione soprattutto su “che cosa aiuta a resistere” ai traumi, a mantenere una buona condizione di salute ed a proseguire nello sviluppo; piuttosto che su “che cosa causa lo star male”, ribaltando così la tradizionale impostazione patogenetica in una prospettiva “salutogenica”.
Prospettiva sottolineata tra i primi da Aaron Antonowsky (1984, “salutogenesis”).
In definitiva nel concetto di resilienza sono compresi 3 elementi essenziali:
a) l’esposizione ad esperienze avverse e traumatiche
b) il riuscire a fronteggiarle
c) il progredire nello svilupo psicologico
La prima fase di ricerche si era infatti concentrata soprattutto sull’analisi delle esperienze avverse e traumatiche, cioè sugli agenti traumatici e stressanti, “produtttori di malessere”.
Gli studi ormai classici di Rahe Holmes ‘67 e Brown ‘89 avevano portato all’elaborazione di liste di life events, eventi stressanti ambientali, in scala di gravità, cui si aggiunsero gli agenti stressanti cronici (Mc Lean e Link ‘94), quelli stressanti sul lavoro (Cooper ‘88), nonché rilevazioni sul ruolo più o meno supportivo del contesto familiare, ambientale, culturale.
D’altra parte sappiamo che i traumi e le difficoltà non hanno lo stesso impatto su tutti, perché nel “disagio” insieme alla componente riferibile alla “difficoltà in sè, alla nocivita’ ambientale” c’è un aspetto più soggettivo. Secondo la proposizione basilare di Lazarus e Folkman (1984):”Nessun evento ambientale può essere considerato un agente stressante indipendentemente dalla valutazione da parte della persona”
Nel senso che dipende da come ciascuno filtra e recepisce gli eventi, sulla base del proprio assetto complessivo, del modo di funzionare, nonché della stratificazione delle esperienze precedenti
Un’ ulteriore acquisizione riguarda la considerazione che gli agenti stressanti possono essere anche interni al soggetto, costituiti da stimoli stressanti psicologici e fisici, cioè degli stressor interni, attivati da difficoltà sofferenze, da problematiche psicologiche irrisolte, da parti in ombra o poco integrate della personalità.
Diventava dunque decisiva la messa a fuoco e la comprensione dei vari fattori in grado di spiegare i differenti livelli di vulnerabilità ai traumi.
Inizialmente vennero presi in considerazione soprattutto gli aspetti costitutivi della personalità e delle sue caratteristiche stabili, come la nota hardiness di Kobasa (1982) ed anche la reattività emozionale (“nevroticismo”, Eysenk ‘57), e gli aspetti indicati allora come ansia di tratto (Spielberg’70).
Successivamente hanno assunto maggiore rilievo le modalità operazionali e funzionali di fronteggiamento delle difficoltà, soprattutto negli studi di matrice anglosassone, e che comprendono,in una panoramica molto sintetica:
-Le strategie di coping, cioè le diverse componenti che entrano in gioco nell’affrontare gli eventi avversi (Folkman e Lazarus’88);
-Il Coping emotivo (Lazarus e Folkman 1984) che riguarda l’adeguata regolazione dello “sconforto emotivo”;
-Lo stile di problem solving (Nezu ‘87) con il noto processo a 5 stadi;
-La modalità flessibile o stereotipata di problem solving (Cassidy e Long ‘96)
Risultava d’altra parte sempre più evidente l’interconnessione tra le modalità e le capacità individuali di affrontare le situazioni avverse ed il ruolo dei fattori protettivi ambientali, che vengono in particolare ripresi e ampliati da tutto il filone che fa riferimento all’ Empowerment del quale, riprendendo Zimmerman (‘99) si possono sintetizzre alcune delle principali componenti:
-l’adozione di un “internal locus of control”
-la percezione di autoefficacia
-la speranza appresa (mediante l’attraversamento di esperienze positive)
-il sostegno sociale; l’essere parte di una rete sociale di supporto;
– la partecipazione ai processi elaborativi e decisionali del gruppo sociale di riferimento.
Hanno acquistato più di recente un crescente rilievo le componenti precoci di organizzzione della personalità, come gli stili dell’ attaccamento precoce, nel loro rapporto con le caratteristiche di personalità e di funzionamento relazionale.
Mentre si collocano in un’ottica più decisamente orientata in senso psicodinamico, gli studi sui meccanismi di adattamento involontario, riferiti in particolare ai meccanismi di difesa (Vaillant 1992). In questa impostazione la resilienza viene considerata in rapporto con il tipo di difese utilizzate, andando dalle difese più disadattive – come la negazione e la distorsione (della realtà esterna) – via via a quelle più evolute – come la rimozione, l’intellettualizzazione, la formazione reattiva – che creano meno disadattamento. A detta dell’autore è una prospettiva in grado di fornire elementi di previsione sul modo di rapportarsi alle difficoltà e sulle linee di sviluppo e consolidamento del soggetto adulto.
Da questa sintetica panoramica emerge dunque l’ampiezza delle questioni coinvolte nella resilienza ed anche le potenzialità di sviluppo di ricerche e filoni di approfondimento che stanno portando a comprendere meglio le diverse componenti ed alla possibilità di modificarne l’assetto e l’evoluzione.
In questo senso non è improprio parlare di resilienza “attiva”, appunto perchè migliorabile,trasformabile, come sostengono B.Cyrulniked ed E.Malaguti (2006), per i quali ” la resilienza si costruisce in qualsiasi condizione ed a qualsiasi età, per cui si può sempre fare qualcosa”.
RESILIENZA e CORPOREITA’
Viene ora presa in esame in particolare la prospettiva che guarda alla resilienza nell’ intreccio unitario di psiche e soma e nel percorso di sviluppo e di funzionamento psicocorporeo.
Nel misurarsi con le sfide dell’ambiente, l’organismo – qui inteso secondo un concetto estensivo di insieme strutturato di organi, di coagulo di esperienze, di conoscenze, di attività finalizzate – rimaneggia, costruisce, affina le sue capacità di padroneggiare la realtà esterna. Dunque non si limita a resistere all’imprevisto avverso, ma interagisce e si rimodella attivamente: sperimenta nuove modalità efficaci di funzionamento, modifica schemi di rappresentazione, , sedimenta nuove conoscenze, costruisce nuovi assetti organizzativi.
Allo stesso tempo il superamento di eventi sfavorevoli richiede l’attivazione integrata di numerose capacità, alcune delle quali si situano nell’area di passaggio tra biologico e psicologico, come ad esempio i meccanismi coinvolti nell’ elaborazione rapida delle informazioni, nella messa in atto di risposte automatiche non consapevoli, nella sedimentazione pluricentrica dell’esperienza.
Sappiamo che il “substrato biologico” è sede di una rete articolatissima di collegamenti, capace di un livello “autonomo” di interazione con l’ambiente, di costruzione di schemi conoscitivi e di messa in atto di risposte finalizzate. Una forma di organizzazione – e di “conoscenza implicita” degli stati interni dell’organismo (Damasio, 2000 ) – al tempo stesso dotata di una propria funzionalità e al tempo stesso tramite verso forme di conoscenza più complesse (Edelman, Tononi, 2000).
Un livello che sottende i processi di traduzione “mentale” della percezione e della rappresentazione e nel quale avviene il passaggio “dal silenzio del corpo in movimento o scosso dalle emozioni, dalla conoscenza di sequenze percettivo-emotivo-motorie, alla parola che tenta di descrivere quelle sequenze tacite e così inserirle nell’organizzazione dei significati” ( Liotti, Le opere della coscienza, 2001, p.27).
Avvicinarsi alla molteplicità dei linguaggi in cui si articola il “dialogo” tra substrato neurobiologico e “interiorità” dovrebbe dunque portare ad ampliare la comprensione delle stesse basi biopsicologiche e psicocorporee su cui poggia la resilienza e conseguentemente ad azioni volte alla sua facilitazione ed al suo incremento.
Ma come è possibile ascoltare e comprendere i segnali del “corpo”? E come è possibile avvicinarsi a cogliere il funzionamento di fondo dell’organismo ?
Sembra un koan di un maestro Zen: se due mani che battono fanno “clac!”, che rumore fa una sola mano?
Forse qualche indicazione può venire proprio dal raccogliere questa “provocazione”, nel senso di cercare di andare al di là degli schemi abituali, lasciando emergere la possibilità di “sentire” attraverso un registro semantico a più livelli, attraverso le potenzialità dei numerosi canali attivabili: enterocettivo, propriocettivo, cinestesico, tattile.
C’è dunque bisogno di (ri)apprendere a sentire, a distinguere, oltre i processi abituali di percezione e significazione.
In questa direzione sono utili le indicazioni provenienti da campi del sapere come le neuroscienze, la ricerca psicocorporea,( ad esempio le Esperienze Basilari del Sè della Psicologia Funzionale), la Meditazione Terapeutica, la Mindfulness Based Cognitive Therapy, soprattutto nel tentativo di collegare modalità diverse di conoscenza e di elaborazione dell’universo di dati utilizzabili.
E’ qui d’obbligo il rinvio per i necessari approfondimenti teorico-metodologici in questa direzione, ai relativi filoni di ricerca ed in particolare alle opere di Damasio ” Emozione e coscienza”, di Bottaccioli “Psiconeuroimmunologia”, di Rispoli “Esperienze di base e sviluppo del sè”, di Segal,Williams,Teasdale “Mindfulness”, di M. Linehan, “Trattamento cognitivo-comportamentale del disturbo borderline” e di Rizzolati, Sinigaglia “So quel che fai”.
Quali indicazioni operatve provengono da questi approcci?
E’ possibile in questa sede solo richiamare sinteticamente alcune indicazioni metodologiche e applicative che provengono da pratiche già largamente utilizzate e che presentano elementi per certi versi integrabili e che sembrano trasferibili in una pratica di sostegno e miglioramento dei cosiddetti fattori di resilienza.
Ad esempio possiamo provare a prendere in considerazione alcune capacità dell’individuo, indirizzate soprattutto alla sopravvivenza ed all’omeostasi, all’esplorazione dell’ambiente di vita, all’ entrare in relazione con altri individui e provare a delinearle secondo una concettualizzazione che fa ricorso ad un linguaggio volutamente figurato e metaforico: prendere rifugio, percepire e filtrare, prendere nutrimento, metabolizzare le scorie nocive assorbite, ascoltare i segnali interni, etc.
E si può provare ad esaminarli come aspetti coinvolti in particolare nel far fronte ad eventi e condizioni sfavorevoli.
Prendere rifugio
Quando si è alle prese con una situazione difficile c’è bisogno di recuperare le forze e al tempo stesso essere ben centrati su se stessi. Un riuscire a “prendere rifugio” anche come capacità di autoprotezione.
A che cosa è riferibile, quali aspetti coinvolge il mettersi in una condizione di contatto con se stessi, di calma interiore, di percepire bene le sensazioni, di essere osservatori dei propri processi mentali ?
Questa importante capacità sembra comprendere un insieme di aspetti che riguardano l’ autosservazione, la capacità di introspezione, il distanziarsi dall’eccesso di stimoli, il rilassamento.
Ed infatti la capacità di rilassamento o di concentrazione, la condizione di intenso dialogo interiore o di “raccoglimento”, la buona percezione delle sensazioni interne ed esterne, nonchè degli stati emozionali, la capacità di contatto con se stessi, sono elementi comuni a molte pratiche introspettive, di integrazione psicocorporea e di “cura del sè”, antiche e moderne. Dalla meditazione, allo yoga, alle tecniche di rilassamento, alle arti marziali orientali, alla mindfulness (MBCT) nel trattamento anti-stress e antidepressivo.
Un elemento comune sembra essere quello di ridurre l’attivazione ed il controllo razionale in modo da favorire uno stato mentale particolare e rendere possibile una percezione più ampia e forse più vicina al livello ” silente”.
Il “fermarsi”, ” lo stare”, proprio del “prendere rifugio”, non è una forma di immobilità e apatia ma corrisponde ad una condizione psicocorporea particolare che comporta la riduzione dello stato di attivazione mentale e psicoficsico e sembra rendere possibile una modalità diversa di autopercezione e di pensiero.
Il rilassamento, in prima approssimazione, viene fatto corrispondere ad uno stato di distensione fisica e psichica, una condizione mentale più sgombra dall’affollarsi dei pensieri, una detensione muscolare, un affiorare di sensazioni di calma e di torpore piacevole.
Gli elementi caratterizzanti a livello mentale possono essere descritti come rallentamento nel fluire dei pensieri, una mente più ricettiva, l’ampliarsi delle sensazioni (esterne e interne), una facilitazione nei collegamenti tra le diverse parti dell’organismo, un effetto positivo sul sistema di regolazione dello stress.
In questa direzione un ruolo importante è assolto dalla funzione respiratoria.
La respirazione addominale lenta e ampia comporta infatti il rilasciamento del diaframma e dei muscoli della gabbia toracica e favorisce la distensione di base, la riduzione dei meccanismi di allarme ( per azione sui centri cerebrali e midollari), e si accompagna a sensazioni di calore diffuso, di pesantezza, di benessere.
Il concentrarsi sulle sensazioni e sui movimenti della respirazione, sentire il flusso del respiro che entra lentamente attraverso le vie respiratorie, distende il torace e l’addome e poi fuoriesce, ritmicamente (cicli di circa 12 sec.), ha un effetto simil-trance, come il concentrarsi su movimenti e suoni ripetitivi e ritmici.
Sappiamo inoltre che la respirazione addominale, interviene su molteplici aspetti (come riportato da Bottaccioli, Psiconeuroimmunologia,2003):
-riduce la pressione arteriosa, agendo sulla regolazione dei barocettori;
-produce un incremento della scarica vagale e quindi un effetto calmante ed un allentamento delle tensioni psicofisiche;
-ha effetti sulla regolazione del “sistema stress”, producendo la riduzione dei livelli di cortisolo e di adrenalina;
-determina vasodilatazione e l’incremento di ossigenazione a livello dei tessuti, della cute, e cerebrale.
La respirazione addominale ed i movimenti ad essa collegati, aiutano inoltre a percepire meglio le sensazioni (esterne e interne) dell’intero organismo e inducono sensazioni piacevoli che, attraverso le vie sensitive, giungono alle aree cerebrali del piacere.
La condizione di facilitazione percettiva favorirebbe inoltre un buon funzionamento del sistema dei neuroni specchio (Rizzolati, Sinigaglia) che come è noto, serve per entrare in sintonia con i comportamenti e gli stati d’animo degli altri soggetti.
Trattenere il respiro al contrario, è spesso in interdipendenza con ansia, irritabilità, tensione; deriva spesso dal tentativo di contenere percezioni soprattutto negative come tristezza, collera, paura, e può portare ad un respiro che diventa cronicamente trattenuto.
Rilassamento e Allentamento
La respirazione è dunque una componente essenziale del cosiddetto rilassamento che induce una condizione di calma, di allentamento delle tensioni, e che non è uno stato di obnubilamento della coscienza, quanto piuttosto uno stato mentale particolare, uno stato ipnoide, che si evidenzia soprattutto nelle pratiche di meditazione.
Una condizione che si inscrive nella percezione piena della propria soggettività e al tempo stesso comprende e travalica lo stesso individuo in un senso di continuità e di connessione con l’ambiente fisico e storico-sociale. “Prendere rifugio non è un atto di fuga: è un atto di protezione e di inclusività” (Thic Nhat Hanh, 2005).
Si è d’altra parte constatato che, come effetto della meditazione, le onde cerebrali passano ad una prevalente attività alfa lenta, caratteristica di una mente tranquilla, forse con una prevalenza delle attività schematicamente attribuite al “cervello destro”, con presenza di una moderata attività theta e delta, caratteristica dello stato di sogno e di sonno profondo Si verifica inoltre una tendenza alla sincronia delle onde cerebrali, ad indicare un fenomeno di “risonanza e di connessione” nel cervello e nell’intero sistema nervoso.
Percepire e filtrare – Aprire le sensazioni – Autoproteggersi
La capacità di percepire -sentire serve ad avvertire le diverse sensazioni dall’esterno e dall’interno dell’organismo, dagli organi viscerali, dagli organi di senso specifici, ed anche le risonanze emotive collegate: ad esempio ciò che tranquillizza, rilassa e ciò che mette in tensione, fa contrarre. Ed è anche alla base dell’ autopercezione, della rappresentazione di sè, ed anche della rappresentazione dell’altro e dell’ambiente.
Damasio ci ricorda che inizialmente, nel percorso filogenetico, era dominante nel cervello la rappresentazione degli stati interni dell’organismo (Damasio,2000), rispetto a quelli esterni, divenuti prevalenti in tempi successivi. Per questo può dunque servire ri-apprendere ad ascoltare il corpo, imparare a percepire le sensazioni che arrivano dalle diverse zone, dalle diverse parti, anche da quelle di solito un pò trascurate, un pò silenziose, un pò nascoste.
Percepiamo in effetti ciò che già sappiamo distinguere, ma c’è anche una percezione silente che avviene senza che ce ne accorgiamo e che viene comunque elaborata e organizzata e produce movimenti e risposte.
D’altra parte anche i segnali del corpo non sono sempre semplici e diretti, sono anche il prodotto di stratificazioni successive, di adattamenti e compensazioni, di interrelazioni con la rappresentazione mentale, per cui avviene una perdita dell’evidenza immediata del linguaggio somatico che va in qualche modo “reinterpretato”e anche “ricollegato” alle sue matrici iniziali.
“Tra le cose che (la mente) nasconde nel modo più efficace vi è il corpo, il nostro stesso corpo, e con ciò intendo i suoi meandri, le sue parti interne.”
(Damasio, idem)
Il percepire va naturalmente inteso anche in senso comunicativo e relazionale, cioè come la capacità di comprendere le azioni e gli stati d’animo anche di altri soggetti, di entrare in risonanza emotiva.(vedi neuroni specchio)
Riguarda anche la capacità di filtrare gli stimoli spiacevoli o dannosi e al tempo stesso accogliere gli stimoli positivi o piacevoli:contatto, piacere, calore, affetto, nutrimento (in senso lato).
Quello del filtro psicocorporeo (L.Rispoli,1993) è un livello del quale c’è una consapevolezza solo parziale e che va compreso e reso progressivamente più esplicito a se stessi. Una sorta di processo di discriminazione rispetto ad implicazioni e interferenze che scattano automaticamente nell’impatto con le sensazioni sia esterne che interne.Un aspetto di questo processo riguarda le implicazioni piacevoli o spiacevoli delle emozioni e la possibilità di una più chiara discriminazione nell’impatto con eventi stressanti.
Una capacità decisiva nel sapersi proteggere dall’eccesso di stimoli e soprattutto di stimoli nocivi (sia esterni che interni) e che richiede un continuo affinamento dei meccanismi di riconosciento, di filtro, di neutralizzazione degli agenti nocivi a vario livello.
Significa possibilità di non distorcere o soffocare o misconoscere queste componenti ma poterle recepire in modo pieno e chiaro. Ed anche per gli aspetti meno evidenti, o elusi come “buchi” di percezione.
Sensazioni ma anche emozioni, ricordi, pensieri.E’ proprio tutto quest’insieme di collegamenti, tra sensazioni, attivazione, risonanze emozionali, rielaborazione mentale, atteggiamenti in risposta, che viene registrato dall’organismo come esperienza degli eventi.Una memoria che si deposita dentro una intimità che è insieme fisica, mentale emozionale, relazionale, storico-biografica.
Affidabilità corporea
Possiamo provare ad aprire con il “soma” o con ciò che definiamo “soma”, un dialogo che si muove su diversi piani, da quello fisico a quello metaforico, simbolico. Possiamo provare a cogliere e far emergere, riportare alla luce frammenti significativi, come da una vecchia soffitta impolverata, frammenti dimenticati, un pò nascosti ma significativi. Piccoli brandelli, piccoli squarci di luce su vicende sedimentate e incorporate nel sentire personale, nel modo di essere, di percepire, di comprendere; dalla dimensione cognitiva, riflessiva e consapevole a quella più intuitiva, immediata, ed agli aspetti automatici e non consapevoli.
Ad esempio seguire le tappe e le modalità con le quali sono state e vengono incorporate ed espresse le vicende esistenziali a livello della respirazione, del tono muscolare, degli atteggiamenti, della postura, della voce, dei movimenti, delle disarmonie tra le diverse parti, delle zone di tensione, delle zone dolenti, irrigidite, della perdita di tono ed energia, del ripiegamento, della forza, della lentezza.E questo riferimento sappiamo che può allargarsi a comprendere aspetti ugualmente interconnessi come il metabolismo, il funzionamento delle ghiandole endocrine e del sistema immunitario, etc.etc. E sappiamo che modificare un aspetto produce un riflesso anche sugli altri.
E d’altra parte il corpo ed i suoi movimenti costituiscono un terreno di approccio pluridimensionale alla comprensione integrata e unitaria della persona e nei processi di affidabilità psicocorporea.
Vicinanza – Ascolto
Si riferisce alla capacità di avvicinamento, di entrare in contatto, di ascolto dell’altro, che inizia dall’entrare nello spazio peripersonale dell’altro, all’interno della sua area di percezione, non necessariamente tattile.
Un avvicinarsi nel quale si comincia ad avvertire la presenza dell’altro, accompagnata da risonanze diverse, da quelle piacevoli o rassicuranti ad altre più incerte o inquietanti. E’ una fase che sappiamo delicata, nella quale si varca comunque una soglia e ciò richiede sensibilità e cautela.Si comincia a percepire un’attenzione, una presenza interessata, una vicinanza. Si può sentire quello che arriva e ciò che si mette in moto: emozioni, sensazioni, pensieri, immagini.Si attivano risonanze e collegamenti.
D’altra parte è noto che le sensazioni vengono recepite e filtrate secondo lo schema personale e la storia di ciascuno. Ed è un percepire in parte consapevole ed in parte automatico, “organismico”. Ad esempio il tono della voce, un particolare modo di atteggiersi e gesticolare, qualche espressione del viso. Possono affiorare fiducia o diffidenza, ansietà, rassicurazione, attrazione o disinteresse, etc.Queste componenti vengono avvertite con chiarezza, senza distorsioni o blocchi, senza soffermarsi e senza sottoporle a pre-giudizio?
Sensazioni- contatto
Il contatto può essere anche più ravvicinato, dallo sguardo e dalla voce al contatto tattile: più abitualmente il contatto delle mani e poi anche di parti del corpo, con una maggiore vicinanza fisica.
Produce sia un’azione locale, attraverso l’azione diretta sulla cute, i tessuti ed i muscoli della zona interessata, nonchè un effetto più a distanza a livello dell’ intero organismo (per effetto metamerico e riflesso su organi anche distanti) ed inoltre un effetto psicologico più generale.
Sappiamo che c’è una corrispondenza tra cute e organi interni e muscoli e organi interni; ad es. la gastrite si collega al pettorale maggiore clavicolare.
Il substrato neurobiologico è rappresentato dalle terminazioni sensitive della cute, dei muscoli, dei visceri. A livello muscolare il sistema di regolazione neuromuscolare è assicurato dai fusi neuromuscolari ( nei fasci muscolari) e dagli organi tendinei di Golgi, sensibili all’accorciamento ed allo stiramento dei muscoli.
La stimolazione cutanea come sappiamo si trasmette tramite le vie sensitive, ai centri talamici e poi encefalici della sensibilità, con rappresentazioni mentali nell’emisfero destro e attraverso il sistema limbico porta all’attivazione delle componenti emozionali.
La stimolazione profonda dei tessuti connettivali e muscolari si trasmette inoltre ai centri talamici e poi encefalici del piacere (con rilascio di dopamina ed endorfina e rappresentazioni mentali nell’emisfero destro di benessere, tranquillità) (Rucco 1996) e attraverso l’ipotalamo porta al rilascio di ossitocina che induce abbassaento della pressione, un effetto rilassante e la riduzione dell’attività del surrene (cortisolo-stress).
Come vengono tradotte operativamente le indicazioni provenienti da questa nuova modalità di porre le questioni?
L’aspetto centrale di questi orientamenti appare quello di indirizzare la relazione a valenza terapeutica su modalità più adatte a utilizzare una molteplicità di canali comunicativi attivabili: enterocettivo, propriocettivo, cinestesico, tattile, sviluppando una capacità di sentire oltre i processi abituali di percezione e significazione.
Si partirebbe dunque dall’affinamento della capacità di cogliere tali processi multidimensionali, per un ampliamento del campo di percezione e di coscienza.
Una delle conseguenza sottolineate da F.Giommi e’ che “una maggiore consapevolezza dei segnali corporei permette via via una maggiore discriminazione e comprensione dei propri stati emotivi ed è essenziale per la loro regolazione. (Introduzione a “Mindfulness”,2006)
Per questo è necessario ridurre l’attivazione del filtro razionale, per accedere a livelli più vicini al funzionamento psicocorporeo e favorire un riequilibrio dell’intreccio di schemi operativi e funzioni (vedi Psicologia Funzionale del Sè) che sottendono le posture, i movimenti, , la respirazione, il tono muscolare, la voce, il sistema neurovegetativo, ma anche correlati emozionali e simbolici.
Le metodologie applicative, sia in chiave terapeutica che psicoeducazionale coinvolgno sostanzialmente ambiti quali: il rilassamento, l’allentamento del controllo, la respirazione, la pratica meditativa, la ricognizione e l’affidabilità del corpo, l’interazione psicosomatica, il riattraversamento delle Esperienze di Base psicocorporee, etc.
Questi approcci comportano un necessario e sostanziale ripensamento degli assetti operativi e dei setting abituali, in modo da rendere possibili interazioni compatibili con interventi psicocorporei, sia individuali che in gruppo.
E’ facilmente intuibile che rispetto ai tradizionali setting con scrivania, lettino da analista o sedie in circolo, sono più funzionali tappetini, moquette ed abiti comodi, per facilitare una comunicazione ampliata ai gesti, al movimento al contatto.
In conclusione, si vanno ormai affermando metodologie finalizzate a comprendere come vengono affrontate e superate le condizioni di stress emozionale e di disagio psicologico in un’ottica salutogenetica, di attivazione delle risorse di “neuroplasticità”, di ri-modulazione degli schemi organizzativi di base e di interscambio costruttivo con l’ambiente e gli altri individui.
Una prospettiva di apprendimento e trasformazione che passa necessariamente attraverso un percorso di esperienza e sperimentazione pratica interattiva, in modo da rendere possibili i processi di mobilizzazione degli elementi in gioco, di rielaborazione e di ampliamento della consapevolezza critica .Come ci ricorda Fabio Giommi(2006) “non si tratta di insegnare una tecnica attraverso un’esposizione concettuale………..(ma) di farne esperienza dall’interno, da una prospettiva in prima persona”.
Un percorso di sperimentazione e apprendimento che può essere avviato a partire dalle indicazioni che provengono da metodologie già largamente utilizzate e che sembrano trasferibili in una pratica di sostegno e miglioramento dei cosiddetti fattori di resilienza.
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