L’intreccio mente-corpo
Pubblicato da redazione
Fonte: “L’ intreccio mente-corpo” David Lazzari, (2007) in “Mente e Salute”, Franco Angeli
«Siedi nella tua sedia senza muovere un muscolo, stai semplicemente
pensando, e il tuo pensiero ti suscita un sentimento… subito il tuo
pancreas produce alcuni ormoni. Il tuo pancreas? Che cosa c’ entra il
tuo pancreas? Potresti anche non sapere dov’è il pancreas! Ma il tuo
fegato sta producendo un enzima che prima non c’era, la tua milza
sta mandando un messaggio al timo, la pressione del sangue nei piccoli
capillari delle tue caviglie sta cambiando. E tutto questo solo per
un pensiero!»
(Sapolsky, 1998).
1. Una realtà integrata
Il cervello si mostra come “massa critica” in grado di sintetizzare i diversi processi organici per produrre le qualità peculiari delle attività psichiche, plastico aggregato di reti e processi, costantemente collegato con tutto l’organismo e, attraverso il corpo, con l’ambiente esterno. È qui che da una serie enorme di interazioni locali di tipo essenzialmente bio-chimico ed elettrico emergono le attività psicologiche come proprietà globali del sistema, ed emergono, come accade in natura, esibendo e rispondendo a regole di funzionamento proprie e specifiche. Questo dato è coerente con il principio dell’interdipendenza tra le proprietà che la natura assume nelle varie dimensioni che la caratterizzano, La realtà si organizza ampliando costantemente i vincoli di sistema in modo da ampliare i gradi di libertà senza rompere i limiti posti dalle leggi naturali che incidono quindi a ogni livello ma in modo diverso: questo consente di capire che il livello psicologico “trascende” quello biologico (in quanto rappresenta un livello di organizzazione dei viventi) e non ne “prescinde”.
Il dato che la ricerca più recente ha illuminato è quello delle complesse funzioni che il livello mentale esercita in ogni istante su quello biologico, e quindi il ruolo strategico e spesso centrale dei vissuti e dinamiche psichiche individuali sugli equilibri che controllano il funzionamento dell’organismo (Lazzari, 2005). Del resto l’evoluzione pone una domanda cruciale: che senso avrebbe l’attività mentale se non fosse in grado di influire sull’organismo? Come sarebbe allora in grado di determinare il comportamento? Che vantaggio evolutivo avrebbe una “mappa” che non orientasse in alcun modo i processi somatici?
La risposta a questa domanda appare fondamentale: non possiamo credibilmente considerare la mente come qualcosa di avulso dall’ organismo e quindi di inutile per la .sua esistenza, né possiamo considerarla come un sempÌice “prodotto” dell’organismo, perché si dovrebbe affermare che il rapporto tra corpo e mente è solo del tipo causa-effetto. Ma se il corpo è la causa e la mente solo un effetto, allora la mente non avrebbe nessun potere sul corpo e questa affermazione è contraria non solo all’evidenza scientifica e all’esperienza di ognuno di noi, ma obbligherebbe anche a dare una risposta assurda alle domande che prima venivano poste. Sarebbe cioè,necessario rispondere che la mente non ha alcun ruolo nel funzionamento e nel comportamento dell’organismo.
Ci rendiamo conto che tale affermazioneè priva di logica: la componente che nell’uomo è più sviluppata, quella che lo diversifica più di ogni altra cosa dagli altri esseri viventi, che ha costruito la nostra cultura, la nostra civiltà, la nostra tecnologia e persino la scienza stessa, sarebbe qualcosa che non ha potere alcuno sul nostro corpo e sulle sue funzioni! Del resto le esperienze legate alla nostra vita qùotidiana, i cambiamenti fisici che abbiamo sentito in relazione ai nostri pensieri, ai nostri stati d’animo, l’inscindibile nesso tra vissuti mentali e fisici che abbiamo sperimentato avvertend ouna forte emozione,fanno di tutti noi dei testimoni diretti della reciproca influenza tra mente e corpo.
“Basta fare un semplice esperimento: immaginare, magari chiudendo gli occhi, di avere in bocca una fetta di limone molto aspro e sentire poi che sensazioni fisiche avvertiamo. Se realizziamo la “presenza” del limone sentiremo una serie di reazioni fisiche simili a quelle prodotte da un limone vero: la semplice idea è sufficiente ad agire sulla fisiologia dell’organismo e a far produrre una risposta.
Se l’esperienza ci aiuta è tuttavia comprensibile che ci si rivolga alla scienza per avere delle risposte più precise poiché sappiamo che le nostre sensazioni potrebbero in qualche caso ingannarci.
E l’indagine scientifica sta mettendo a fuoco sempre di più le interconnessioni presenti nell’ organismo (rese necessarie dal fatto che equilibri e fùnzioni complesse richiedono che la specializzazione delle componenti avvenga sempre nel contesto e in funzione delle esigenze unitarie e complessive ~dell’organismo), come questo processo sia interattivo con il contesto in cui l’ organismo è immerso e che la mente svolge un ruolo di modulazione nell ‘interazione individuo-ambiente (Mayer, Saper, 2000).
Nella figura 1 troviamo uno schema di questa situazione. In estrema sintesi si può leggerla così: gli input (stimoli di qualsiasi genere) vengono recepiti e filtrati dai processi biologici che li portano per lo più (con “quote” diverse a seconda della natura dello stimolo) a livello dei centri cerebrali superiori ed entrano così all’interno della dimensione mentale (inconscia e cosciente), che li processa nell’ambito di schemi e riferimenti di tipo psicologico. Si creano così dei contenuti psichici che vengono poi tradotti in processi biologici”e attivano cambiamenti nell’organismo ed eventualmente dei comportamenti esterni. Questi percorsi possono essere attivati dalla realtà esterna, ma anche da quella interna: dal corpo e dalle sue esigenze, dalle elaborazioni mentali (pensieri, ricordi, desideri). Inoltre, la nostra attività non è legata al momento contingente ma anche ai programmi e ai progetti finalizzati che ci facciamo, segue archi temporali anche piuttosto lunghi. Oggi abbiamo dati sufficienti per affermare la validità e la necessità di approccio che consenta di prendere in considerazione in modo unitario li aspetti biologjci e psicologici dell’uomo come momenti diversi e specifici di una realtà.integrata. Ma tali affermazioni, anche se tratte da evidenze scientifiche ormai acc1arate, risultano spesso difficili da recepire: derivano da scoperte molto recenti che stanno modificando il modo della scienza di guardare a queste cose. <
È difficile, anche per chi si occupa di scienza, abbandonare punti di vista consolidati per abbracciarne di nuovi, a maggior ragione se vi è alle spalle una tradizione culturale che ha sempre favorito una certa visione delle cose.
La tradizione, come vedremo nel-prossimo paragrafo, ha consolidato un modello scientifico di tipo “riduzionista” che si è basato su una visione “dualistica” di mente e corpo, viste come entità sostanzialmente separate.
La medicina, al suo fondarsi come scienza, oltre che come “arte”, nel XIX secolo ha adottato questa visione, e così la stessa psicologia (al di là dell’opinione, allora. non dimostrabile, dei suoi padri fondatori, a cominciare da Freud). E l’autorevolezza della scienza ha influenzato la società, anche se oggi i non addetti ai lavori sono in genere più aperti a una diversa visione delle cose. Tuttavia è necessario evidenziare che, anche se in medicina vi è un modello scientifico dominante, occorre prendere atto che esistono anche altri modelli interpretativi, che rispondono a esigenze diverse ma che devono cercare un progressivo confronto e ogni possibile integrazione per riconsegnarci uno sguardo complessivo sull’Uomo.
2. Idee antiche e scoperte moderne (da Socrate alla psiconeuroendocrinoimmunologia)
Con i greci si struttura il modo di conoscere il mondo e di organizzare il sapere che caratterizzerà questa parte del mondo e che si esprimerà, qualche secolo dopo, con il metodo scientifico come noi lo intendiamo. E se ci soffermiamo sull’idea di uomo come composto di corpo e mente, si vede che essa si afferma progressivamente e in termini dualistici. Nei testi omerici, e siamo nell’VIll secolo a. C, non rintracciamo una mente e un corpo:
ancora non sono nati i concetti di psyche e soma come li conosciamo. Con Socrate (intorno al 450 a. C.) si compie un percorso culturale che porta all’integrazione e unità del corpo (come si può vedere anche nelle rappresentazioni artistiche) e nell’idea di un centro unificante che viene visto nella psiche, la quale giunge a connotare l’essenza stessa dell’uomo, lo “spirito che pensa”, in grado di conoscere, decidere, essere responsabile.
Con Platone la psyche diviene l’anima razionale, espressione della coscienza e sede delle funzioni più alte (nella sostanza si fonda il concetto di mente), poiché è essa che da vita e sostanza al corpo (visto come “prigione dell’anima”); quest’ultimo, rimasto privo di vita propria, viene appunto chiamato soma, non più soggetto ma oggetto, cosa tra le cose. Aristotele darà alla questione una soluzione che potremmo definire “moderna”: la psyche è il principio regolatore (entelechia) della vita corporea (il bios: i processi biologici), quindi il corpo è lo strumento della psiche e la psiche è lo strumento dell’uomo. Il dualismo platonico, sotto questo profilo, si sposerà meglio con il cristianesimo che innalza lo “spirito” a scapito della”carne” e finirà con il permeare di sé la cultura occidentale.
In particolare, quasi 2000 anni dopo, Cartesio riprende e accentua questo dualismo per consentire la nascita della scienza moderna. Il suo scopo era grandioso: riformulare tutto il sapere disponibile su basi nuove, un nuovo sistema di pensiero. Cartesio indica un metodo analitico che consistenello scomporre l’oggetto di studio in frammenti quantificabili e nel disporre questi frammenti nel loro ordine logico. Egli, ricercando ciò di cui possiamo avere certezza, giunse alla conclusione che la cosa più certa di cui possiamo essere consapevoli è quella di pensare (il famoso “cogito ergo’sum”: penso quindi sono): la mente quindi è la cosa più certa su cui poggia la nostra conoscenza, e non può stare sullo stesso piano della realtà materiale.
Da qui la separazione ontologica cartesiana tra res cogitans, la sostanza pensante, lo spirito e la res extensa, la sostanza estesa, la materia. Poiché siamo nell’epoca della scoperta delle leggi della meccanica e della costruzione delle prime macchine industriali, si comprende come per Cartesio tutto l’universo materiale sia una grande macchina, ed egli include nella materia anche gli organismi viventi, lo stesso corpo umano: “lo considero il corpo umano come una macchina. Il mio pensiero mette a confronto un uomo malato e un orologio mal costruito con la mia idea di un uomo sano e di un orologio ben costruito” e ancora “nel concetto di corpo non è incluso nulla che appartenga all’anima, e nulla in quello di anima che appartenga al corpo” (Descartes, 1969).
Cartesio, per la verità, si poneva il problema del rapporto anima-corpo nell’uomo. Così inizia il suo libro L’uomo: «Gli uomini sono composti di un’anima e di un corpo; devo descrivervi prima il corpo e poi l’anima separatamente; infine, ,devo farvi vedere come le due nature devono essere unite e congiunte per formare uomini simili a noi» (Descartes, 1969). Ma Cartesio non arriyerà a descrivere l”‘anima che ragiona” e l’unione “delle due Nature”: proprio in quel momento infatti (siamo nella !<
primavera del 1633) gli giunge per lettera la notizia della condanna di Galileo Galilei’
Scrive Cartesio commentando quest’ultima: «Il mio desiderio di vivere in pace m’impone di tenere per me le mie teorie» (Descartes, 1634). ~
La visione della realtà su cui si basa la nascente scienza è stata definita meccanicista perché vede il mondo come una macchina governata da rigidi meccanismi causali, tutta la materia è omogenea e formata da piccole particelle solide e indistruttibili”che si muovono in uno spazio assoluto senza relazione con i, fenomeni che avvengono in esso, puro contenitore sempre uguale e immobile, immerso in un tempo assoluto, che scorre uniformemente dal passato al futuro. La linea di demarcazione, tra soggetto pensante e oggetto materiale, passa all’interno dell’uomo e lo divide in due: il corpo ha una sostanza materiale visibile e può essere studiato come una macchina, mentre la mente risulta “immateriale” e quindi non si presta a questo tipo di indagine scientifica.. h
La possibilità di un metodo scientifico di investigazione della “Natura” si affermerà così a prezzo di una scissione che attraversa l’uomo stesso e lo divide in mondi ontologicamente diversi e”non comunicanti.
L’evidenza dell’ esperienza comune, che suggerisce un rapporto tra i nostri pensieri, la nostra vita mentale e i nostri vissuti’ corporei, non è più sufficiente in campo scientifico; inoltre la distanza tra osservatore e fenomeno osservato, per i fatti psichici, è più problematica, così come la necessità di rapportare i fenomeni a numeri e di operare su quelli calcoli matematici.
4 In realtà Cartesio aveva già assegnato nei suoi scritti a uno specifico organo, la ghian-
– dola pineale situata alla base del cervello, il ruolo di collegamento tra sostanza pensante e
materia, Alcuni autori moderni hanno evidenziato il possibile collegamento tra’ questa
ghiandola e l’ipofisi, che in effetti svolge un ruolo importante nella relazione mente-corpo.
Se i’ successi della chimica e della biologia di fine del Settecento-Ottocento e inizi Novecento, avevano consentito alla medicina di poggiare finalmente su “dati oggettivi” e di rivendicare rigore scientifico per i suoi metodi nella stessa epoca la psicologia comincia a rendersi autonoma dalla filosofia e dalla””medicina. Saranno proprio studiosi di queste aree a fondare una “psicologia scientifica” alla fine del XIX secolo. Pensiamo al fisiologo W. Wundt in Germania (figura 2), a W. James negli Stati Uniti o a S. Freud (che aprirà un campo nuovo e un metodo nuovo d’indagine: quello dei fenomeni inconsci.
La nuova psicologia cerca di darsi uno statuto sperimentale e scientifico trattare i “fenomeni psichici” alla stregua di”dati” osservabili e misurabili.
Ma sia al suo interno che all’esterno si dovrà scontrare con grandi difficoltà e. diffidenze a causa di una cultura permeata dal dualismo mente-corpo,che assegna alla dimensione del “mentale” uno statuto vago, difficilmente definibile e del tutto slegato dai’ fenomeni oggettivi del corpo(Zamperini, Testoni,1999).
Peraltro, nel tempo, molti autorevoli filosofi avevano cercato di gettare un ponte tra questi due mondi, da Spinoza a Hume, Kant e Locke, e l’ evoluzione delle concezioni filosofiche, epistemologiche e metodologiche, ha aiutato a capire il metodo scientifico e il nostro rapporto con la realtà: esse ci mostrano che l’interpretazione dei “dati” scientifici avviene in realtà sullo sfondo di una serie di opzioni filosofiche e di convinzioni soggettive più o meno esplicite. Tuttavia, sarebbe stata la stessa evoluzione di quella scienza, responsabile del riduzionismo e del positivismo esasperato e ingenuo del XIX secolo a consegnarci gli elementi per un nuovo paradigma scientifico.
Già nel XIX secolo si comincia a mettere in crisi una visione statica della materia: il concetto di evoluzione, quello di entropia di Clausius, come evoluzione energetica di un sistema fisico; gli studi sui fenomeni elettrici e magnetici di Faraday e Maxwell che portano alla nascita del concetto di campo di forze, che può essere studiato senza alcun riferimento ai corpi materiali. Ma gli sviluppi decisivi verranno nel XX secolo con la relatività e la fisica delle particelle. La nuova fisica ha costretto a guardare la materia in modo diverso, dimostrando come del tutto relativi i nostri concetti di tempo e causalità. Se lo sguardo si abbassa all’infinitamente piccolo abbiamo particelle- onda che creano campi di probabilità indeterminati; se si alza all’infinitamente grande saltano le idee su un tempo che scorre linearmente,su uno spazio slegato dal tempo e definibile da coordinate tridimensionali. Ci si trova costretti a ripensare l’idea di un universo-macchina, composto da tante singole realtà separate, e a prendere in considerazione l’idea di un universo dinamico, le cui componenti sono profondamente interconnesse. Con la fisica probabilistica la stessa “regina” delle scienze esatte deve fare i conti con i problemi metodologici ed epistemologici che assillano là psicologia (per esempio l’influsso dell’osservatore sul fenomeno osservato) (Lindley, 1997). Un dato che emerge è che tutta la materia, pur rimanendo coerente con le leggi universali, assume comportamenti diversi e si presenta in un modo diverso a seconda del livello che prendiamo in considerazione (per esempio, nella nostra esperienza quotidiana e dà1 nostro normale punto di osservazione la Terra è una superficie piatta e gli oggetti sono attirati verso di essa, vista dallo spazio la stessa Terra è una sfera e gli oggetti lontani non sono attirati da essa perché non risentono della sua gravità).
Non è stato facile per là stessa scienza fare i conti con questi dati, che richiedevano un nuovo modo di pensare, un nuovo orizzonte culturale, ma anche di disporre di una cornice concettuale per cercare di inserire le nuove scoperte nell’ambito di una visione unitaria e coerente della realtà e delle cose. La “teoria déi sistemi” e la scienza della complessità, di cui ci”siamo occupati nel primo capitolo, nascono da questa esigenza e forniscono una cornice concettuale nuova e, per il momento, abbastanza adeguata a leggere i diversi aspetti della realtà in modo integrato e la possibilità di confrontare numeri molto grandi di osservazioni, anche su aspetti diversi, in modo da coglierne le relazioni e i reciproci rapporti.
Nel campo mente-corpo le osservazioni sempre più profonde delle scienze biochimiche, cognitive e neurofisiologiche hanno consentito di gettare ponti dove prima vi erano solo profondi vuoti (Oliverio, 1999). Nonostante già dalla prima metà del 900 molti studiosi, in gran parte sulla spinta della Psicoanalisi e dell’idea di “pulsione” di Freud, avevano approfondito i legami tra processi psichici e malattia, fondando una”nuova area di ricerca chiamata Psicosomatica, è solo nella seconda metà del secolo che la ricerca è in grado di cogliere i primi legami tra attività mentale e sistemi dell’organismo.
I
Nel 1964 due ricercatori dell’Università della California, il medico George Solomon e lo psicologo Rudolf Moos, dopo aver condotto degli studi sui fattori psichici che influiscono sulla malattia (in particolare sull’ artrite reumatoide) pubblicano il saggio Emozioni, immunità e malattia: un ‘integrazione teorica speculativa (Solomon, Moos, 1964) coniando il termine “psiconeuroimmunologia”. Ma il “padre” di questa nuova area di ricerca è lo psicologo RobertAder
L’Esperimento di Ader
Nei primi anni Settanta Ader stava studiando l’apprendimento dell’avversione per i sapori nei ratti: a.gli animali veniva fornita acqua dolcificata con saccarina (a loro gradita) e contémporaneamente gli veniva iniettata una dose di ciclofosfammide,
sostanza che causa senso di nausea. Dopo questo abbinamento (dolce- disgusto) gli animali evitavano l’acqua dolcificata: vi era stato un apprendimento dovuto al condizionamento pavloviano, la bibita era lo stimolo e l’evitamento la risposta condizionata. Ader trovò che il volume della saccarina consumata prima che agli animali venisse iniettata la sostanza prediceva la forza della risposta condizionata, cioè dell’evitamento della bibita. Prediceva anche il tempo occorrente agli animali per perdere questo condizionamento e iniziare a bere la saccarina di nuovo. Inoltre, maggiore era la quantità di saccarina consumata dall’animale nel corso di una seduta sperimentale, maggiore la sua avversione alla saccarina e il tempo necessario a estinguere la risposta appresa. Come accade in questi casi l’estinzione del comportamento condizionato si produce dando all’animale l’acqua dolcificata senza accoppiarci la ciclofosfammide finché non riprende a berla normalmente. A questo punto, tuttavia, accadde qualcosa di imprevisto. Dopo aver ripreso a bere l’acqua dolcificata molti animali mostrarono segni di malattie e cominciarono a morire: risultò che la probabilità di morte nel singolo animale, analogamente alla forza dell’avversione dell’animale per la saccarina, era legata alla quantità di saccarina consumata durante il condizionamento.
Per spiegare queste relazioni Ader ipotizzò che durante il condizionamento dell’animale a .evitare la saccarina egli era stato anche condizionato a deprimere il sistema immunitario, questo perché il ciclofoslammide è anche un potente immunosoppressore.
In altre parole gli animali avevano associato alla saccarina, anche presa da sola, sia il senso di nausea che la reazione di immunosoppressione.
Così ogni volta che gli animali venivano esposti nuovamente alla soluzione alla saccarina il loro sistema immunitario veniva depresso lasciandoli più,vulnerabili a ogni germe che poteva circolare nel laboratorio. Anche con il venir meno del comportamento condizionato, cioè l’evitamento dell’acqua dolce, era probabilmente rimasto un collegamento appreso tra la bevanda e la soppressione immunitaria.
Per verificare questa possibilità Ader ripeté l’esperimento su animali affetti da “Lupus sistemico”,una malattia autoimmunitaria (dove cioè il sistema immunitario aggredisce l’individuo’ stesso producendo uno stato di infiammazione).
Qui, gli animali che, dopo l’estinzione dell’avversione per la bevanda, tornavano a bere mostravano un miglioramento della malattia e vissero più a lungo degli individui non sottoposti all’esperimento. Poiché nelle malattie autoimmuni quando il sistema immunitario si deprime le infiammazioni migliorano, questo fatto confermava clamorosamente l’ipotesi iniziale. Il potenziale di questa scoperta era enorme: non solo un apprendimento poteva modificare direttamente l’attività di un apparato dell’organismo, ma si dimostrava il collegamento tra sistema nervoso e immunitario. Inoltre, se gli individui potevano modificare la risposta immunitaria grazie a uno stimolo ambientale”potevano anche aumentare le difese immunitarie.
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Nel 1975 Ader, unitamente all’immunologo Nicholas Cohen,pubblicò un articolo (Ader, Cohen, 1975) nel quale presentava le prove che la risposta immunitaria può essere modificata dal condizionamento. Queste novità, nonostante la replicazione degli studi su animali e su uomini, vennero .inizialmente prese con molto scetticismo: è interessante a questo proposito la biografia scritta da George Solomon,nella quale egli rivela:
«Curiosità, forza d’animo, flessibilità psicologica e l’abilità di mettere insieme osservazioni disparate ma tutte con un ruolo nel processo della scoperta scientifica. Tenacia, tolleranza alla frustrazione, credere nell’incoraggiamento di alcuni e,ignorare il negativismo di altri, giocano un ruolo importante nella possibilità di arrivare a nuove osservazioni e teorie» (Solomon, 2000).
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Nel 1981 David’Penton, ricercatore all’Università dell’Indiana, scoprì una rete di nervi che legava sia vasi sanguigni che cellule del sistema immunitario. I ricercatori trovarono anche nervi nel timo e nella rnilza con terminazioni vicino ad ammassi di linfociti e macrofagi (cellule impiegate nella funzione immunitaria). La scoperta. procurò una delle prime indicazioni delle basi fisiologiche dell’interazione tra sistema nervoso e immunitario.
Il collegamento tra le ricerche in campi tradizionalmente separati – immunologia, endocrinologia,neuroscienze,psicologia-cominciò ad accumulare dati çhe indirizzano al superamento della visione tradizionale del cervello e dei nervi, degli ormoni e delle cellule immunitarie come elementi separati del corpo, e di tutti questi con la mente.
Uno degli,ultimi”colpi di maglio” a questa visione, per usare le parole di Francesco Bottaccioli , è arrivato grazie a J. Edwin Blalock ,fisiologo dell’Universi.tà dell’ Alabama, che ha scoperto che le cellule inununitarie possono produrre lo stesso tipo di ormoni prodotti dal cervello (noti come neuro peptidi) e che questo consente una comunicazione bidirezionale. Blalock ha ipotizzato che il sistema immunitario serva anche come “organo di senso” fluido per gli stimoli provenienti da batteri e virus e come tale sia in collegamento con il cervello per coordinare la risposta dell’organismo.
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Questa funzione spiega il collegamento tra i sistemi nervoso, endocrino e immunitario che agiscono come una grande rete integrata. Da allora gli studi che si richiamano a questo settore si sono moltiplicati. nella sola rivista Psychosomatic Medicine (una delle più accreditate del campo) nel decennio 1990-2000 sono stati pubblicati circa il 70% degli studi riferiti al quarantennio 1940-2000 (Kiecolt-Glaser, McGuire, Robles, G1aser,2002).Nel 2004 negli Annali dell’Accademia delle Scienze di New York è stata pubblicata una sintesi delle ricerche in questo campo con un titolo che equivale a un programma: “La psiconeuroendocrinoimmunologia rivoluzionaria scienza della salute: un nuovo paradigma per capire la salute e curare la malattia”. L’autore, lo psicologo O. Ray, sottolinea come la Pnei costringerà a cambiare il modo di vedere le cose, diventando il nuovo modello scientifico di riferimento, che incorpora «le idee, i valori, le speranze e i desideri, così come la biochimica, la fisiologia e l’anatomia: cambiando i nostri pensieri noi cambiamo il nostro cervello e poi la nostra biologia e il nostro corpo» (Ray, 2004).
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3. L’organismo come rete
Si tratta, come si vede, sì di un settore di studi giovane e in piena espansione. probabilmente assisteremo a nuove e importanti scoperte, che daranno una risposta ai molti quesiti ancora aperti. Ma già ora possiamo fare una sintesi della realtà dell’organismo che emerge da queste ricerche. La vita di ciascun essere è garantita dalla sua capacità di attribuire significato e di reagire di conseguenza agli stimoli, prodotti dall’ambiente o dalle sue stesse azioni: possiamo suddividere tali stimoli in cognitivi e non cognitivi (Sivik, 2001). I primi vengono processati utilizzando il sistema neuroendocrino e vengono portati in genere a un qualche livello di elaborazione psicologica; mentre per quelli non cognitivi (allergeni, virus, batteri ecc.) è il sistema immunitario con il compito di elaborazione e informazione dell’organismo.
Una risposta adeguata richiede l’integrazione di queste informazioni, resa possibile dai numerosi livelli di interconnessione tra sistema nervoso, endocrino e immunitario (in sigla SN, SE e SI), Questo aiuta a comprendere perché antigeni e stimoli psichici evocano , una risposta integrata immuno-neuroendocrina fondamentalmente simile. E anche perché si sono evidenziate costanti correlazioni tra l’integrità dell’identità psicologica individuale e l’integrità dell’attività immunitaria (Ader, Felten, Cohen, 2001).
I tre sistemi, attraverso processi di comunicazione e regolazione reciproca svolgono, in equilibrio dinamico, il ruolo di bilancia del benessere, attraverso il dialogo dei mediatori comuni (neurotrasmettitori, ormoni, citochine) che si legano ai recettori delle cellule bersaglio (alle quali è destinato il messaggio), che stimolano o reprimono la risposta cellulare. Il SN e il SI hanno in comune, oltre alla percezione degli stimoli, la capacità di apprendimento, la memoria (memoria neurale e memoria immunitaria) e i mediatori (molecole) che agiscono sui tre sistemi.
Quando si riesce a travalicare i confini posti dai settori specialistici e si confrontano dati e linguaggi ci si rende conto che l’organismo è una struttura interattiva e integrata a tutti i livelli, dove, se si prende in considerazione una “componente”, si vede che essa partecipa a molte differenti funzioni svolgendo ruoli e attività diversi: i1linfocita è una cellula allo stesso tempo immunitaria e neuroendocrina; i peptidi (che costituiscono una sorta di “secondo sistema nervoso” che possiede l’organismo per integrare la sua attività) hanno assunto varie denominazioni in rapporto al sistema biologico o alla sequenza storica della loro individuazione .
La scoperta dei peptidi
La storia della loro scoperta è emblematica di come si è sviluppata la conoscenza del funzionamento corporeo, cioè “pezzo per pezzo”, a compartimenti-stagno in relazione alle diverse discipline e interessi dei ricercatori. Alcuni di loro hanno individuato alcuni elementi e il loro molo all’interno di determinate funzioni, mentre altri,del tutto autonomamente e all’insaputa dei primi, individuavano gli stessi elementi in altri contesti funzionali: e così è accaduto che si è parlato delle stesse cose senza che ci si rendesse conto di questo. I peptidi, mano a mano che venivano individuati sono stati contrassegnati con nomi diversi: ormoni, neurotrasmettitori, fattori della crescita, peptidi intestinali, interleuchine, citochine.
La circostanza che sono prodotti in diverse parti del corpo e svolgono una miriade di funzioni ha per lungo tempo offuscato il dato che ci si trovava di fronte a una rete omogenea di comunicazione. I peptidi, composti da minuscoli filamenti di proteine,sono state definite le “molecole dell’informazione”(definizione coniata ,da Francis Schmitt), perché sono come delle “parole” del linguaggio usato dalle cellule dell’organismo per comunicare tra loro, molecole messaggere con il compito di distribuire le informazioni in tutto il corpo per coordinare la sua attività.
Il ruolo di questa rete molecolare ha aiutato a capire la componente biochimica, molecolare, del substrato fisiologico delle sensazioni, delle emozioni, dei pensieri. Le molecole messaggere trasportano l’informazione dentro e lungo il corpo, “dando gambe” al coordinamento di tutta l’attività’e costituiscono il principale elemento di integrazione tra i tre sistemi (SN, SE e SI) che curano le relazioni dentro il corpo e con il mondo esterno.
Questa rete veicola messaggi che sono smistati dal sistema cervello-mente,
di cui ci siamo occupati in precedenza: all’interno di questo sistema i messaggi entrano nei circuiti di classificazione e nella dimensione dei significati inconsci o coscienti (a seconda dei casi).
Abbiamo qui un aspetto importante dell’integrazione fisiologica dell’organismo, di come questa integrazione sia mediata, in una costante dialettica adattativa con il mondo esterno, dall’attività mentale. Le metafore che appaiono più congrue per descrivere l’organismo sono quelle di “rete”, di “sistema”,dove possiamo avere come elementi strategici la capacità di integrazione funzionale sia orizzontale che verticale, la non-linearità e la circolarità dei processi, la capacità di incorporare l’output (la “retroazione” o feedback). La cooperazione tra cellule, che nel lungo cammino evolutivo, ha condotto a forme quanto mai diverse, si è tuttavia basata su dinamiche di specializzazione integrata, cioè ogni suddivisione del lavoro è avvenuta dentro una cornice di funzionamento e di esigenze unitaria.
Sono sempre state le esigenze complessive dell’organismo, e quindi della sua più funzionale integrazione interna e con il mondo, che hanno determinato i ruoli dei vari elementi. L’organismo dei vivènti non sarebbe certo sopravvissuto se fosse stato una torre di Babele di linguaggi che non comunicano o una serie di territori divisi e in competizione. La fisiologia presuppone quindi un codice unitario che unifica “centro” e “periferia”: esso utilizza dei segni che si esprimono con linguaggi diversi ai diversi livelli pur mantenendo analoghi signifìcati.
Tale linguaggio può essere,decodificato a livelli e con modalità diverse: si possono utilizzare i mezzi della, fisica;della chimica, e così via; Candace B. Pert, fisiologa presso la Georgetown University di Washington DC che ha dato un contributo decisivo alla scoperta dei neuropeptidi, ha efficacemente
sintetizzato la realtà integrata dell’organismo e il ruolo della mente, affermando:
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«A me piace pensare che la mente in realtà sia il flusso di informazioni che scorre attraverso le cellule, gli organi, gli apparati del corpo (..~) lo vediamo in azione anche a livello della fisiologia; La mente, così come noi la. sperimentiamo è immateriale, eppure ha un substrato fisico che si identifica tanto con il corpo quanto con il cervello. Si può dire anche che possiede un substrato non materiale, non fisico, relativo al flusso di queste informazioni. La mente dunque,è ciò che tiene insieme la rete, agendo”spesso al di sotto della coscienza, collegando e,coordinando i sistemi principali, con i;relativi organi e cellule. Quindi potremo “defrnire l’intero sistema come una rete psicosomatica di informazioni, che unisce la psiche, comprendente ciò che è di natura chiaramente non materiale al soma, che è jl mondo materiale delle molecole, delle cellule e degli organi» (Pert, 1997). .
Quando parliam dell’uomo ci riferiamo quindi .una”realtà integrata bio-psicologica che reca in sé la storia delle sue transazioni con il mondo e in qualche modo le contiene. E questo è vero per l’uomo çome.,specie e per il singolo individuo. Il tempo necessario al “cucciolo dell’uomo” per l’autonomia è incredibilmente più lungo di quello di tutti gli altri viventi proprio in relazione al ruolo che ha l’ apprendimento legato alI’esperienza per ciascun individuo. .
.
4. L’importanza.dei primi anni
Che cosa accade nella prima fase di incontro con la. vita? Decenni di studi ci stanno consentendo di abbandonare una sterile contrapposizione “tra “innato” e “”acquisito” e di vedere come lo sviluppo dell’organismo avviene dentro una costante interazione tra bisogni che spingono verso il mondo esterno (per il loro soddisfacimento) e risposte del mondo esterno, .che vengono via via immagazzinate e consentono di “aggiustare” progressivamente i tentativi di soddisfacimento successivi. In ,tutti i settori questa continua interazione consente lo sviluppo e la messa a punto sia dei complessi ‘circuiti’omeostatici, di quelli che supportano le attività dell’individuo (percettive, motorie,comunicative), della capacità di registrare tutto questo sia in specifiche memorie biologiche che in un’attività di rappresentazione della realtà e di se stessi che va a implementare la dimensione mentale soggettiva.
La realtà individuale è in sostanza un ‘progetto potenziale (patrimonio genetico) che si attualizza modellandosi in relazione alle specifiche circostanze del suo incontro con il mondo, andando a costruire una struttura psicologica e biologica che è il frutto di questa interazione e di una stessa vicenda. Gli aspetti complessivi e integrati dello sviluppo sono rimasti in ombra perché lo sviluppo fisico, delle strutture neurologiche, di singole funzioni, è stato studiato in modo avulso da quello delle interazioni, delle relazioni, delle capacità psichiche, come se non si trattasse di due facce di una stessa medaglia, che vivono e si sviluppano dentro una reciproca interazione.
Tuttavia è necessario superare tale limite perché 1′,uomo non è una macchina composta di pezzi autonomi che vengono assemblati insieme (secondo una metafora necessaria per avviare uno studio scientifico sistematico ma oggi riduttiva e limitante per le attuali conoscenze e possibilità di indagine): è un nucleo unitario dal quale per successive,’diversificazioni si sviluppano diversi elementi funzionali, secondo un percorso di auto-organizzazione globale. Nella macchina si parte da tanti elementi slegati autonomi per costruire una unità, negli organismi viventi si parte da una unità per sviluppare i diversi elemènti.
Già nelle ultime settimane prima della nascita il feto raggiunge una maturazione che consente al futuro individuo di avviare una attività mentale in risposta agli stimoli che gli provengono dal corpo e dal comportamento della madre ma anche dall’ambiente intorno a lui :Il bambino è spinto dai suoi bisogni, guidati inizialmente dal suo repertorio comportamèntale limitato e dal suo temperamento , ad agire e agendo incontra il mondo e comincia ad accumulare delle esperienze. A questo livello il bambino non possiede un linguaggio e un pensiero verbale e nemmeno una concezione di Sé come essere separato dal mondo, la sua vita psichica è ancora primordiale ed elementare.
Man mano che il bambino accumula esperienze, accumula anche apprendimenti che entrano a far parte di lui, depositandosi inizialmente in memorie pre-verbali (perché non c’è ancora il linguaggio) che si strutturano soprattutto nei circuiti di controllo del sistema muscolo-scheletrico. Con il procedere dello sviluppo i dati organizzati dal bambino, mediante attribuzione di significati a livelli sempre più precisi e sofisticati, si strutturano in memorie sempre più articolate ed entrano così in rappresentazioni sempre più generali. Queste sono inizialmente sensoriali (suoni, immagini, odori, sensazioni tattili) meno elaborate e più dipendenti dagli stimoli del mondo esterno; le rappresentazioni percettive richiedono invece di integrare diversi tipi di informazioni e sono quindi più complesse; e ancora di più lo sono quelle astratte, che prescindono dalla realtà contingente e possono “creare” una realtà del tutto diversa e immaginaria.
Questa attività porta a modelli mentali sempre più elaborati, dove i contenuti sono organizzati secondo una dimensione temporale (senso del tempo) e dove si creano concetti sempre più generali e astratti (come “giustizia” o “libertà”). Dal processo di continuità temporale nasce il senso del Sé storico, che costituisce il nucleo della nostra Identità.
Lo sviluppo delle strutture e delle funzioni cerebrali dipende dalle modalità con cui le esperienze, in particolare quelle legate a relazioni interpersonali, influenzano e modellano i programmi di maturazione geneticamente determinati del sistema nervoso (Siegel, 200l). Le strutture neurali si formano guidate da istruzioni genetiche e si “sincronizzano” con le esperienze. Queste ultime costituiscono inoltre, con l’ambiente in generale,un insieme di “fattori epigenetici” ,in quanto influenzano le stesse modalità dell’espressione genica (Rose, 1997).
Non è solo una mente e un cervello che si sviluppano ma un “sistema mente-cervello”, anche se i due livelli, psicologico e biologico, hanno regole ed esigenze diverse, essi tuttavia si influenzano in un gioco continuo e reciproco. Per esempio, strutture cerebrali importanti per le relazioni umane (di cui ci occuperemo più avanti), come la corteccia frontale, le cellule fusiformi o l’ amigdala e i loro collegamenti, si sviluppano in modo diverso a seconda della positività delle relazioni vissute dal bambino in famiglia (Schwartz, 2003). Inoltre questo processo coinvolge tutto l’organismo: la mente e il cervello non sono staccati dal corpo, anzi le sue esigenze fisiologiche (sensitive, motorie) costituiscono gran parte dei dati con cui deve confrontarsi lo sviluppo mente-cervello. Il bambino sviluppa le sue capacità psichiche mediante interazioni continue con il contesto, mediate dal suo corpo che si muove nella realtà e la modifica. Il corpo è la cosa mediante la quale noi modifichiamo il mondo, riceviamo informazioni dal mondo, ed è ciò che noi sentiamo nell’agire e nel percepire. Non è possibile che ci sia un “sentire” qualche stato soggettivo senza che ci sia un corpo, perché ciò che si sente viene dal corpo, si sente) il corpo: ogni volta che proviamo qualcosa o sentiamo qualcosa il corpo è in gioco (Argentieri, 2001).
Un altro elemento fondamentale da tenere presente è che tutto questo non avviene in un organismo isolato ma dentro un mondo pieno di cose che attiva un processo di interscambio continuo tra bambino e ambiente. Queste relazioni, la loro qualità (e quantità), incidono e condizionano lo sviluppo del sistema cervello-mente perché esso si struttura in relazione a queste esperienze.
Se noi isolassimo un bambino, deprivandolo del rapporto con l’adulto e con il mondo e limitandoci solo al minimo necessario per la sua sopravvivenza biologica, noi avremmo dei danni irreversibili nello sviluppo sia psichico che cerebrale, la maggior parte delle funzioni mentali superiori non riuscirebbe neanche a strutturarsi. In realtà è anche possibile che il bambino non sopravviverebbe,se i contatti fossero davvero pochi e la situazione protratta nel tempo. Le capacità cognitive ed emotive del bambino sono legate infatti alla condivisione di esperienze mentali con le figure genitoriali, che svolgono una sorta di “funzione rispecchiante” per il bambino.
Quest’ultimo cioè impara a conoscere se stesso, i suoi bisogni, in definitiva ad organizzare il suo Sé, attraverso il comportamento e la mente dell’altro (Fonagy, Target, 2001). Così durante i primi anni il bambino acquisisce la capacità di distinguere se stesso dagli altri e dal mondo che lo circonda, di comprendere le intenzioni degli altri (cioè le loro dinamiche mentali e il loro punto di vista), un percorso”che si struttura verso il quarto anno d’età.
In linea generale possiamo dire che la qualità dei processi di sviluppo determina la qualità del nostro cervello e della nostra mente: la prima può essere declinata in termini di plasticità, integrazione, interconnessione emisferica; la seconda in termini di coerenza, flessibilità, complessità, riflessività (o capacità di auto-consapevolezza).
5. Ereditarietà e adattabilità
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Se l’esperienza ci plasma qual è il ruolo dell’ ereditarietà genetica?
Darwin cercò per tutta la vita di mettere in luce il processo che consentiva l’ereditarietà dei caratteri e la loro modificazione, ma non riuscì in questa ulteriore impresa. Si è dovuti arrivare ai primi decenni del 900, quando gli esperimenti di Thomas Morgan alla Columbia University di New York sul moscerino della frutta (la “Drosophila melanogaster”) confermarono i famosi esperimenti de1900 di Gregory Mendel sui piselli. Venne così messo in luce che i geni si trovano sui cromosomi all’interno delnuc1eo delle cellule vengono distribuiti alle cellule-figlie durante la mitosi.
Da allora, come’è noto, si è aperto un nuovo imponente filone di ricerca, battezzato “Genetica” dal biologo William Bateson dell’Università di Cambridge.
Si è cominciato a distinguere in ciascun individuo, il “genotipo”, l’insieme del suo patrimonio genetico, dal “fenotìpo”, inteso come l’insieme dei catatteri vilsibili, evidenti. L’idea che ha cominciato a diffondersi e sulla quale la ricerca biologica si è orientata è stata quella di un genotipo che determina il fenotipo: le caratteristiche dell’individuo sarebbero determinate da ciò che scritto nei suoi geni. Sembrava che la scienza potesse cogliere l’equazione finale, comprendendo la natura e il funzionamento dei geni, e potendo dimostrare la catena causa-effetto che, a partire dal codice genetico, portava alla realizzazione dell’individuo, con le sue caratteristiche e comportamento.
La realtà si è rivelata assai più complessa: ‘il premio Nobel Barbara McClintocK ha evidenziato che i”geni possono mutare la propria posizione nella mappa cromosomica e che essi sono in continuo scambio dinamico con il proprio ambiente cellulare. Le ricerche hanno mostrato che quasi tutte le caratteristiche dell’organismo, i suoi tratti fisici, persino il colore degli occhi, non segue la trasmissione”caratteristica dei geni mendeliani,’ma è determinata dall’intervento di più geni che spesso interagiscono con l’ambiente. I geni “lavorano” in sequenze, attivandosi e inibendosi reciprocamente sotto l’influsso di vari fattori interni ed esterni. Le cellule devono continuamente attivare e disattivare certi geni in risposta a segnali che provengono dal loro ambiente interno ed esterno.
Inoltre l’ espressione genica si deve modulare in relazione alla specializzazione cellulare: una cellula umana tipica esprime in un dato momento intorno al 5% dei suoi geni. In tutti gli organismi l’attività genica è regolata da proteine che legano il Dna, le quali interagiscono con altre proteine e con fattori ambientali. Un gene presente nel genoma di un organismo non è sempre in grado di essere espresso. Può esserlo in alcune cellule e non in altre, oppure in certi periodi dello sviluppo. I biologi molecolari hanno inoltre scoperto che un gene può, in certe condizioni, essere amplificato o reso più disponibile di quanto sia di solito. In altre parole il genoma di un organismo è plastico, ovvero può esprimersi in modo tale da influenzare la capacità di singoli geni di essere espressi (Campbell, 1998). In sostanza, l’attivazione di ciascun gene e il suo livello di espressione varia continuamente in relazione all’attività complessiva di tutto il genoma che è influenzata da diversi fattori esterni mediati da ciascuna cellula.
L’espressione di’ gran parte dei geni è modificata a diversi livelli: dipende dagli altri geni presenti nel genoma di quel particolare organismo, dall’ambiente cellulare, dall’ambiente extracellulare e, nel caso di organismi pluricellulari, dall’ambiente esterno all’organismo {Rose,2001). Si parla di plasticità per descrivere la capacità del genoma di modulare la sua attività in relazione a input esterni. Il genoma potrebbe essere quindi paragonato a una tastiera di pianoforte e il fenotipo alla musica che si ottiene, si possono ottenere melodie diverse a seconda dei tasti che”vengono utilizzati. La tastiera è un vincolo ma rappresenta un ventaglio di possibilità che vengono espresse nel tempo in relazione ai fattori di contesto.
Ricerche
I noti esperimenti sull’Achillea millefolium, nei quali una serie di parti prese dalle stesse piante (identiche geneticamente e quindi dei “cloni”) furono piantati in luoghi diversi, hanno mostrato che la crescita era diversa in relazione all’ambiente.
Secondo il noto biologo Richard Lewontin questo è un chiaro esempio di come, anche ai livelli più semplici, l’organismo non è specificato dai suoi geni, ma è il prodotto unico di un processo ontogenetico legato alla sequenza di ambienti in cui si verifica (Lewontin, 1998). Un esperimento analogo, altrettanto famoso in campo scientifico, è quello effettuato con dei topi da laboratorio geneticamente identici, in diversi laboratori ma in condizioni sperimentali assolutamente uguali. I topolini dovevano affrontare delle prove per loro nuove (quindi di non avevano esperienze diverse): se il loro comportamento fosse stato guidato dai geni si dovevano avere delle scelte uguali nei topi geneticamente uguali. In realtà, emersero comportamenti diversi dei topi nei diversi laboratori: il loro comportamento variava in relazione al luogo più che al codice genetico. I ricercatori dopo aver analizzato tutte le variabili conclusero che la differenza era legata al diverso atteggiamento degli addetti all’accudimento dei topolini. Il loro agire, più calmo, agitato o frettoloso, più caldo o distaccato, aveva prodotto del-le differenze nel “carattere” dei piccoli animali (Crabbe, 1999)! Per rimanere nel campo dei topi è, per esempio, dimostrato che le cure materne incidono sulla struttura chimica dei geni dei cuccioli (Meaney, 200 l). Ma esistono ormai molte ricerche effettuate sui cuccioli d’uomo, che hanno indagato per anni il comportamento di gemelli omozigoti (cioè con caratteristiche genetiche sostanzialmente simili). Anche qui si è visto che se questi gemelli venivano (certo non per cause legate alla ricerca) allevati in ambienti o anche con genitori diversi, le differenze nella loro personalità e nei loro comportamenti finivano per essere maggiori rispetto alle similitudini (Reiss, 2000). Ma questo si può vedere anche in fratellini adottati e cresciuti in famiglie diverse; uno studio ha indagato per esempio lo sviluppo di bambini provenienti da contesti violenti e aggressivi. Quelli adottati da famiglie dove vi era un tasso di “aggressività più elevato mostravano, crescendo, comportamenti aggressivi e tratti antisociali nel 45% dei casi,ma solo il 13% dei bambini finiti in famiglie tranquille sono cresciuti con queste caratteristiche (Cadoret, 1995)!
Il genetista Theodosius Dobzhansky ha parlato di “norma di reazione” all’ambiente per des crivere la capacità dei geni di attivarsi in relazione agli influssi del contesto; poiché l’espressione fenotipica di ciascun gene può variare entro ampi limiti a seconda dell’ ambiente in cui viene espressa occorre riconoscere ,che i geni e gli ambienti sono dialetticamente interdipendenti (Dobzhansky,1973).
Se il patrimonio genetico è trasmesso dal genitori e quindi prederminato in ciascun individuo già prima della nascita, l’espressione dei singoli geni che contiene è modulata in relazione alle caratteristiche della relazione dell’individuo con il mondo. Possiamo quindi descrivere la relazione genoma- ambiente come un processo’ di retro-azione, le risultanze dell’espressione genetica sull’ambiente tornano continuamente a influenzare le modalità successive di espressione, cioè quali gruppi di geni e con quale intensità verranno attivati.
Per molto tempo è stata alimentata una contrapposizione tra i fautori delle influenze ambientali e i tifosi del gene, ma la realtà si sta incaricando di mostrarci che siamo di fronte all’ennesima contrapposizione ideologica, priva di serie basi scientifiche. Gli individui non sono dei passivi attuatori di rigidi programmi genetici, alla stregua di un lettore video che si limita a leggere e riprodurre un nastro registrato. Non sono neanche delle lavagne bianche dove nulla è scritto. Per rimanere nella metafora musicale, lo spartito c’è ma la musica che verrà suonata e come dipende anche da altri fattori.
Una sintesi
I geni, di per sé, sono come semi sparsi a terra: privi della capacità di produrre alcunché. Quando si afferma che un carattere è ereditario, tutto ciò che si vuole dire è che parte della sua variabilità può essere spiegata in termini genetici (Lewontin,1998). Una più adeguata comprensione dei meccanismi dello sviluppo ci ha permesso di capire come l’ambiente e le interazioni del singolo individuo con esso si intrecciano con le predisposizioni genetiche per determinare i caratteri della persona. Noi siamo il prodotto di una interazione dinamica tra ereditarietà e ambiente, dove fattori ereditari e ambientali si miscelano in modo quantitativo e qualitativo diverso a seconda dei fattori presi in considerazione. L’etologo svizzero Hans Kummer ha trovato una metafora per chiarire la questione: domandarsi quale sia la percentuale di ereditarietà e di ambiente nel determinare un particolare carattere è come chiedersi se il rullare di tamburi che sentiamo in lontananza è prodotto dal suonatore o dal tamburo.
Abbiamo visto che la mente è un insieme di funzioni che culmina con la coscienza ma non si limita a essa e che può essere scientificamente descritto come una proprietà dell’organismo nel suo complesso, anche se la parte dell’organismo indispensabile per le attività mentali è senz’altro il cervello (Pally, 2000).
In queste pagine ci siamo soffermati sulla,progressiva costruzione dell’identità individuale mediante l’interazione tra il programma genetico e le esigenze di adattamento: ci riferiamo a questa interazione quando parliamo di “esperienze”. Il genotipo contiene in nuce il “temperamento” dell’individuo, cioè le direttrici di base, le potenzialità del suo orientamento verso se stesso e il mondo, ma la struttura psichica della persona, quella che spesso viene definita come “personalità” o “carattere”, si modella in relazione alle esigenze adattive. La mente non è solo qualcosa che “emerge” dall’organismo, ma si pone come un ponte tra interno ed esterno, tra organismo biologico e mondo circostante. Come abbiamo visto la mente è un contenitore organizzato di esperienze e quindi racchiude, con vari livelli di consapevolezza, tutte le transazioni tra l’individuo e il mondo (genitori, gli altri, la società, la cultura, l’ambiente). La nostra mente, come aveva ben intuito Gregory Bateson, non è solo una nostra costruzione, è piuttosto una “co-costruzione” tra individuo e contesto.
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