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I sintomi-base. Percorsi verso l’alienazione mentale

Fonte: ”I sintomi base. Percorsi verso l’alienazione mentale” di Egidio Bove

La teoria dei sintomi base, delineata dal gruppo di Bonn diretto da Gerd Huber, al pari di quella della vulnerabilità di Zubin, prende in considerazione svariati fattori nella genesi della patologia mentale schizofrenica. Il tempo della contrapposizione tra i sostenitori dei fattori genetici, ambientali e psicologici nella etiopatogenesi della schizofrenia non ha più motivo di esistere. La storia della psichiatria e della psicologia clinica insegna che queste contrapposizioni sono sterili e non portano da nessuna parte. Più che il continuo proliferare di teorie di parte si avverte oggi la esigenza di un modello che funga da super-teoria, e che sia in grado di accogliere sotto il suo ventaglio svariati punti di vista: biologico, dinamico, sociale, ecc.

Huber e coll. cominciato con il prestare attenzione alle fasi della patologia schizofrenica in cui non sono presenti i sintomi positivi. In questo modo hanno potuto documentare nel corso della schizofrenia l’esistenza di fenomeni caratterizzati da sensazioni soggettive disturbanti di natura sub-clinica, i cosiddetti sintomi-base. Questi fenomeni deficitari non sono caratteristici della psicosi schizofrenica, ma possono essere riscontrati in altre patologie mentali o, a volte, in soggetti del tutto normali.

I sintomi-base insorgono sia prima, sia durante, sia dopo lo sviluppo di un episodio schizofrenico, ma possono essere visibili soprattutto quando i sintomi positivi sono assenti. Per valutare la presenza di tali fenomeni è stato costruito prima il “Questionario dei sintomi-base” (FBF) e poi la “Scala di Bonn per la valutazione dei sintomi-base” (BSABS). Così è stato possibile suddividere i disturbi basici in 5 categorie principali: A) deficit dinamici con sintomi negativi diretti, B) deficit dinamici con sintomi negativi indiretti, C) disturbi cognitivi del pensiero, della percezione e dell’azione, D) cenestesie, E) disturbi vegetativi centrali.

In presenza di sintomi-base il soggetto mette in atto svariati meccanismi di coping per far fronte a tali sensazioni disturbanti, ma queste forme di difesa non sempre migliorano la situazione. A volte succede che proprio in virtù dell’utilizzo di tentativi di compenso inadeguati vi sia un aggravamento della sintomatologia basica o un peggioramento delle condizioni di vita dell’individuo. È questa la molla che potrebbe far scattare un circolo vizioso in cui la psicosi diventa una forma di difesa estrema verso disturbi sempre più invadenti. Quindi, i disturbi basici costituirebbero i sintomi di partenza dai quali potrebbe o meno svilupparsi un episodio psicotico. In più, nella comparsa e nell’inasprimento della sintomatologia basica possono partecipare anche variabili stressanti socio-ambientali di tipo aspecifico.

Secondo la teoria di Huber i sintomi caratteristici della schizofrenia sarebbero il risultato di un percorso individuale, cosparso di variabili stressanti endogene e/o esogene, in cui l’individuo cerca in ogni momento di venire a capo delle sue esperienze penose.

I disturbi basici sono fenomeni vicini al substrato organico e che non hanno ancora subito nessun tipo di mediazione psicologica; da questo punto di vista la ricerca biologica sulla schizofrenia potrebbe trovare nei sintomi-base un fondamentale punto di riferimento. Secondo Huber e coll. la sintomatologia basica è correlata ad alterazioni del sistema limbico. Queste disfunzioni biologiche, geneticamente determinate, procurano deficit cognitivi (caratterizzati da un’alterazione dei meccanismi di filtro) esistenti probabilmente sin dalla nascita. L’azione di eventi stressanti aspecifici sui disturbi cognitivi può provocare l’insorgenza dei sintomi-base e mettere in moto il meccanismo che porterà alla schizofrenia.

Nel corso degli studi di Huber e coll. si è arrivato a delineare disturbi basici sempre più caratteristici della patologia schizofrenica: i sintomi-base di tipo cognitivo (categoria C) e cenestesico (categoria D). Attraverso il “Bonn Transition Sequences Study”, condotto da Klosterkötter, è stato possibile studiare 5 sequenze di transizione che partono da questi tipi di disturbi basici e arrivano, attraverso svariati passaggi, a 5 specifici sintomi di primo rango: 1) percezioni deliranti, 2) inserzione, furto e diffusione dei pensieri, 3) allucinazioni acustiche, 4) influenzamento della volontà, 5) influenzamento somatico.

In tutte le 5 sequenze di transizione si può notare una fase iniziale (fase d’irritazione basale) in cui, in seguito a stress aspecifico, si manifestano sintomi-base. Questi fenomeni si intensificano sempre di più, fino a sconvolgere il normale quadro della realtà del soggetto. L’ambiente dell’individuo, il proprio pensiero, le proprie azioni, il proprio corpo sembrano essere diversi, non più naturali come prima; tutto sembra falso, artificiale, costruito per il paziente stesso. La genuinità del rapporto che si aveva con se stessi e con il proprio ambiente viene persa e si fanno avanti esperienze di depersonalizzazione allo-, auto- e somatopsichica. Tutto ciò è causa di un aumento della complessità cognitiva e di un accrescimento della tensione emotiva.

Per evitare questi intollerabili stati d’animo i pazienti, attraverso un processo di adattamento, riattivano forme di pensiero infantile che permettono, in parte, di spiegare gli irritanti cambiamenti della realtà. Si entra così in uno stadio (fase d’esternalizzazione psicotica) in cui le sensazioni penose vissute dai soggetti vengono attribuite all’azione di agenti esterni, ancora sconosciuti. Così, i pensieri, il corpo, la volontà dei pazienti sono sentiti come diversi perché esistono forze esterne capaci di manipolare le persone o l’ambiente circostante.

La conoscenza di come, perché e chi attuasse queste manipolazioni è raggiunta nell’ultimo stadio del processo psicotico (fase di concretizzazione) attraverso ipotesi saggiate con azioni di prova, che conducono ad una spiegazione delirante dell’accaduto. Questo è l’ultimo passo che porta il soggetto alla schizofrenia. La complessità cognitiva e la tensione emotiva, che hanno accompagnato in tutte le tappe i pazienti, svaniscono e tutto ora sembra più chiaro, più coerente.

A differenza del modello medico, in cui il sintomo schizofrenico è causa diretta di un ipotetico danno cerebrale, il modello dei sintomi-base pone tra l’alterazione biochimica e i sintomi caratteristici della schizofrenia una complessa interazione di fenomeni, in cui ha molta importanza l’atteggiamento che l’individuo assumerà nei confronti di una patologia di base.

Il modello di Huber è molto vicino alle teorizzazioni del modello della vulnerabilità, nato in America ad opera di Zubin. In fondo i sintomi-base rappresentano il segno di una preesistente vulnerabilità (deficit cognitivo) allo sviluppo della schizofrenia. Il modello americano è attento, come quello tedesco, a sottolineare la multifattorialità di un disturbo che non può essere spiegato semplicemente come una diretta conseguenza di un’alterazione degli equilibri biochimici del cervello.

Dal punto di vista pratico, un modello basato sul concetto di vulnerabilità, come quello di Huber, ci dà la possibilità di prevenire il disturbo psicotico, dal momento che possiamo rilevare la presenza di sintomi-base molto prima che il soggetto arrivi allo sconvolgimento schizofrenico. In più abbiamo modo di portare avanti una terapia personalizzata, basata sugli specifici sintomi-base presentati dal soggetto, che vada oltre un intervento fatto di soli farmaci.

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