Archivio per Aprile, 2013
Psicoterapia di Comunità
Pubblicato da redazione
Fonte: “Psicoterapia di Comunità. Clinica della partecipazione e politiche di Salute mentale” Edizioni FrancoAngeli, 2010 Raffaele Barone, Vincenzo Bellia, Simone Bruschetta
Questo volume tocca argomenti non proprio nuovissimi: la psichiatria territoriale, il lavoro di rete, la psicoterapia nei servizi e altrove, la residenzialità psichiatrica, l’inclusione sociale, il reinserimento occupazionale, la riabilitazione e via dicendo. È pur vero che sono questioni assai rilevanti dal punto di vista delle pratiche clinico-assistenziali: un altro libro che se ne occupi, perciò, forse non è del tutto fuori luogo, a condizione che il testo sia supportato da un dignitoso retroterra teorico e che sia sottoposto a una convincente operazione di lifting. Male che vada, finirà in mano a qualche centinaio di studenti, a qualche dozzina di colleghi e, per un paio d’anni, farà capolino sulle bibliografie di altri libri consimili.
Questo libro ha impostazione teorico-pratica, perciò nelle pagine che seguono parleremo di una serie di cose e discuteremo di alcune idee. C’è da fare un’osservazione preliminare, però: ci ha sempre colpito il fatto che il pensiero psicologico-clinico, pur in continua evoluzione, abbia prodotto una trasformazione solo trascurabile delle tradizionali pratiche psichiatriche, pur sottoposte a un continuo e severo vaglio critico. Parallelamente, le esperienze innovative realizzate in questi anni nell’arcipelago della salute mentale non sembrano aver innescato un significativo cambiamento delle teorie di riferimento, talché il discorso psichiatrico mantiene sostanzialmente l’intelaiatura dei modelli psicologico-clinici tradizionali. Continua..
Gruppoanalisi e Comunità Terapeutica
Pubblicato da redazione
Fonte : “Gruppoanalisi e Comunità Terapeutica. Uno strumento di lavoro basato su supervisione, valutazione e ricerca” Edizioni FrancoAngeli, 2010 Raffaele Barone, Simone Bruschetta, Serena Giunta
L’intento di fondo che ci ha guidato nella redazione di questo libro è stato quello di fornire degli orientamenti teorici ed empirici sul dispositivo della Comunità Terapeutica intesa gruppoanaliticamente come setting specifico per la cura dei casi gravi orientato alla guarigione. Ma anche di presentare la metodologia e l’epistemologia gruppale nelle sue varie modalità operative ed applicazioni cliniche, con particolare riferimento ad aspetti ed esperienze terapeutico-analitiche (osservazioni in gruppo, carte di rete, gruppi terapeutici e gruppi di supervisione) effettuate ed osservate direttamente sul campo.
Sulla base di tali esperienze intendiamo contribuire alla riflessione scientifica e culturale sul contributo che le Comunità Terapeutiche hanno dato e possono ancora dare all’idea di una guarigione dalla grave patologia mentale; oggi intesa come reale obiettivo terapeutico secondo i più recenti orientamenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Consideriamo infatti parte integrante della nostra pratica clinica la tensione etica verso una guarigione dalla patologia mentale che segua la definizione di Salute Mentale data dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, sin dal 2001, nel rapporto intitolato: Nuova visione, nuove speranze.
“La salute mentale è uno stato di benessere nel quale il singolo è consapevole delle proprie capacità, sa affrontare le normali difficoltà della vita, sa lavorare in modo utile e produttivo ed è in grado di apportare un contributo alla propria comunità”.
Agorafobia: aperture al superamento di confini teorico-tecnici
Pubblicato da redazione
Fonte: Agorafobia: aperture al superamento di confini teorico-tecnici, di R. Aurora Mineo
Nel trattamento dei disturbi d’ansia, il clinico trova di frequente, nell’accogliere il paziente, l’emergenza del sintomo come dimensione prevalente che può arrivare ad occupare tutto – o quasi – lo spazio del pensabile. Nel disturbo da attacchi di panico – ad esempio – può essere la paura del successivo episodio, vissuto come catastrofico, nell’agorafobia può essere la continua preoccupazione per tutte le situazioni che si “devono” evitare, lo sforzo per tenere a bada gli aspetti prevedibili e imprevedibili di ogni situazione.
Per il terapeuta ciò si può tradurre nella difficoltà a creare un’alleanza terapeutica se non prendendosi cura adeguatamente e direttamente del sintomo.
Nel lavoro clinico che presenterò l’applicazione di un modello “misto”, integrato (cognitivo-comportamentale, analitico-transazionale e sullo sfondo psicodinamico, per il lavoro sul transfert e i riferimenti alla teoria dell’attaccamento) viene concepita nella strategia terapeutica come risposta possibile ad una “emergenza sintomatica”. Trattare tale emergenza consente di passare poi ad un lavoro più profondo sui modelli operativi, veicolato attraverso la relazione terapeutica e l’analisi degli schemi relazionali per dare significato al sintomo ed al nuovo percorso evolutivo iniziato in terapia.
Vediamo innanzitutto il caso, per passare all’interpretazione clinica dei dati ed alla strategia di trattamento.
Annotazioni sui sogni “esistenziali”
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Fonte : Annotazioni sui sogni sogni “esistenziali” di Mario Mulè
Agli albori del Novecento, S. Freud si accingeva a scrivere la sua opera fondamentale “ L’interpretazione dei sogni” e non riusciva a nascondere l’entusiasmo per la sua scoperta, lo svelamento, che gli era riuscito, del mistero dei sogni che da secoli interrogava l’umanità.
Come per altre geniali intuizioni, si trattava di una prima esplorazione di un mondo complesso, che era destinata ad arricchirsi di altre scoperte, di verifiche, di aggiunte e di correzioni.
Senza entrare nei particolari di questo percorso che ha visto come protagonisti, tra gli altri, Jung, Kohut ma anche cultori di neuroscienze, si può affermare che lo stato dell’arte consente alcune convergenze:
1. Il linguaggio del sogno è di tipo metaforico;
2. una importante funzione del sogno consiste nel solidificare ed organizzare la memoria degli eventi;
3. nei sogni vi è un tentativo di trovare una soluzione a problemi che hanno notevole valore per il soggetto;
4. i sogni sono un tentativo di raccontare “ lo stato del sé ” e quindi possono consentirne la conoscenza;
5. più che sul supposto significato latente, è utile concentrarsi su ciò che appare ( immagini, emozioni) considerandole come componenti di una tematica che aspira ad essere raccontata.
Liotti ammonisce di non cadere nella trappola di un pensiero costruttivista radicale che ritiene la lettura di un sogno una co-costruzione, una narrazione condivisa.
Invita i terapeuti a considerare l’esperienza emozionale come focus dell’attenzione, individuando quella ispiratrice del sogno tra le emozioni “ evoluzionisticamente determinate” e più specificamente nei sistemi interpersonali ( sistema dell’attaccamento, agonistico, di accudimento, sessuale, cooperativo.)
Note sui “Disturbi d’ansia”
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Fonte : “Note sui disturbi d’ansia” di Mario Mulè
Nel nostro linguaggio si trovano parole che includono uno spettro di significati molto ampio, con differenze tali tra di loro da far venire il dubbio sulla opportunità di utilizzare un’unica parola per realtà così diverse fra di loro.
Un esempio ci viene offerto dalla parola “ amore”, un altro – che ci riguarda più da vicino – dalla parola “ ansia”.
Alla voce ansia, nel vocabolario della lingua italiana Treccani, troviamo: “ forte agitazione dell’animo per desiderio, attesa, o per timore e preoccupazione; stato di affannosa incertezza…”
Che si tratti di emozioni diverse si deduce anche dalle esemplificazioni: “ ansia di gloria”, “ stare in ansia per qualcuno”: non sono proprio la stessa cosa!
Il DSM, come sappiamo, ha istituito un capitolo sui disturbi d’ansia, mettendo insieme vari quadri clinici accomunati da questo sintomo, che peraltro non viene definito.
Facendo questa scelta, ha abbandonato il termine nevrosi, fino a qualche anno fa in uso per indicare un’area in parte sovrapponibile.
Cosa ha guadagnato, e cosa ha perso, la psichiatria con questa nuova impostazione? Senza entrare in maniera articolata nel tema, mi limito a segnalare quanto dichiara F. Giberti:
“ In conclusione, da questa rivoluzione odierna che ha interessato il capitolo delle nevrosi, si riceve l’impressione che si sia guadagnato poco…Molto, forse, con questa nosologia descrittiva, è stato perduto nella comprensione di questa grande area della condizione umana…( si deve registrare infatti ) la caduta di consistenza in quanto automi di quadri in realtà generici e poliedrici come gli attacchi di panico. La stessa differenza tra nevrosi e disturbi di personalità sta diventando discutibile. Si riafferma anche l’esigenza di vedere le nevrosi dal punto di vista del loro significato in quanto messaggio psicologico, non tenendo conto del quale la terapia tende a diventare problematica ed incompleta.”
Sono trascorsi oltre dieci anni da quando Giberti proponeva le sue riflessioni critiche. In questi anni il paradigma categoriale e l’impostazione nosografia hanno finito per espandersi, contaminando sempre di più l’approccio clinico, in una sorta di sudditanza culturale verso la psichiatria ufficiale nord-americana, coprendo con un velo di oblio il patrimonio ricco di riflessioni sul metodo e di profonde intuizioni cliniche che la psichiatria europea di ispirazione fenomenologia e psicoanalitica ci hanno consegnato. Ci si è abituati sempre di più a confrontarsi con il paziente sofferente facendo leva con un paradigma semplificante e riduttivo, che rischia di dimenticare il disperato bisogno di senso che l’altro ci chiede.
Il paziente merita di meglio e di più di una etichetta diagnostica, peraltro di dubbio valore scientifico e sostanzialmente convenzionale, e di una prescrizione farmacologia.
Sono, queste operazioni, utili e necessarie in molti casi; è forse inevitabile che la nostra mente trovi qui un primo ancoraggio ed un primo ordinamento; purché non si rimanga imprigionati in questo primo momento e si proceda oltre.
Uno dei modi per andare oltre nel confronto clinico con la patologia psichiatrica è quella di fare riferimento, anziché a categorie nosografiche, ad “ordinatori psicopatologici”.
Ballerini e Stanghellini definiscono gli organizzatori psicopatologici come “ organizzatori di senso, cioè schemi di comprensione tendenti a connettere le differenti esperienze psicopatologiche di una persona in un unitario universo di significato”.
Privilegiare organizzatori psicopatologici non significa negare l’utilità di organizzatori nosografici, ma vuole indicare una congruenza ed una utilità maggiori degli organizzatori psicopatologici nell’ambito terapeutico, collocando gli altri prevalentemente nell’area della ricerca, come del resto esplicitamente dichiarato dagli estensori del DSM IV.
La frequentazione quotidiana con i pazienti affetti dai cosiddetti disturbi d’ansia mi ha suggerito la possibilità di individuare almeno tre organizzatori psicopatologici. Essi sono: 1) l’angoscia di morte; 2) la vergogna; 3) l’angoscia di separazione e di perdita.